08/03/13

EDUCAZIONE SIBERIANA (di Gabriele Salvatores)





Un lupo corre libero in una terra fredda ed ostile. Stacco. Una picca, una berta ed un crocefisso impilati uno sopra l’altro; sullo sfondo, ritratti di madonne con pistole.

L’incipit dell’ultimo film di Gabriele Salvatores è potente e sembra cogliere il segno: icone e simboli sintetizzano un intero universo ed aiutano ad introdurre lo spettatore dentro una terra inesplorata e sconosciuta che è un luogo culturale, morale ed esistenziale prima ancora che geografico.
Questa terra si chiama Transnistria, un non-stato privo di alcun riconoscimento internazionale collocato nell’attuale Moldavia. Qui, stando alle parole di Nicolai Lilin, Stalin deportò in segreto migliaia di russi e, tra questi, anche i temibili guerrieri urca delle grandi foreste siberiane.

Ora, non ho la più pallida idea se i racconti di Lilin abbiano o meno un fondamento di verità e, in tutta sincerità, mi interessa assai poco “fargli tana” nel caso abbia solo sparato panzane.

Il suo singolare reportage, vero o inventato che sia, mi ha veramente appassionato: il clan di “onesti criminali” che vive seguendo il proprio rigidissimo codice etico funziona alla stragrande ed è raccontato da Lilin con un realismo che sfiora il documentarismo e l’antropologia. Tuttavia, il racconto è classificato come romanzo e non come saggio per cui le chiacchiere stanno a zero e quello che conta è la qualità dello scritto e non la sua presunta o dichiarata autenticità.


Voglio dire, anche Dante ha provato a farci credere di essere veramente andato a spasso per l‘inferno a braccetto con lo spirito di Virgilio, ma non per questo ci permettiamo di contestare il valore letterario della “Divina Commedia”… con ciò non voglio assolutamente dire che “Educazione Siberiana” sia allo stesso livello delle cantiche del poeta fiorentino, ma merita comunque lo stesso trattamento.

Il clan dei siberiani è un universo semplice, fatto di pochi precetti, ma assolutamente ferrei e non emendabili; tra questi, primeggia il "francescano" tutte le creature vanno rispettate! Il problema, trattandosi del clan dei siberiani, è intendersi sul concetto di “creatura”. Sbirri, politici, usurai e banchieri, ad esempio, non rientrano affatto nella definizione. A loro è concesso rubare ed è proibito ad ogni siberiano anche il solo rivolgergli la parola.
"Un uomo non può possedere più di quanto il suo cuore possa amare”: sebbene sappia un po’ di citazione del libro “Cuore” stampata nella stagnola di un Bacio Perugina, il secondo comandamento pronunciato dal tatuatissimo nonno Kuzya (John Malkovich) esprime la singolare avversità del clan verso il denaro, visto come qualcosa di sporco e di infetto che non deve nemmeno entrare nelle case dei siberiani. Da qui, il conflitto inevitabile tra i paladini della "vecchia scuola" e la scalpitante, impaziente ed ambiziosa nuova guardia alle prese con l'avvento ed i conseguenti miraggi del capitalismo occidentale.
Anche la religione ha una ortodossia tutta sua e le preghiere sono tutte un programma: i siberiani si rivolgono a dio affinché mantenga il criminale onesto, la mano ferma e la mira sempre precisa mentre si affronta il nemico. Alla faccia dell’ossimoro!


Tutto questo pippone per dire che l’inizio del film, seppure un po’ didascalico, tutto sommato risulta abbastanza efficace. Peccato che intorno al quarantacinquesimo secondo le icone, i simboli e le migliori intenzioni vadano letteralmente a farsi friggere, cedendo irrimediabilmente il posto alla sagra dello stereotipo e del folklore più bieco.
Neanche un minuto e quello di Salvatores si trasforma in un mediocre filmetto che vorrebbe trovare la sintesi tra “Goodfellas” e “C’era una volta in America”, senza tuttavia mai riuscire nemmeno a sfiorare la violenza esplosiva del primo o la carica epica del secondo. Di regia non parlo nemmeno, tanto risulta piatta e banale: non c’è una sola sequenza, una sola inquadratura, una sola immagine che rimanga impressa nella memoria (no! nemmeno la tanto celebrata scena della giostra la quale, tutt’al più, non risulta pessima come il resto del film, pur risultando comunque retorica e scontata: voglio dire, filmare dal basso l’ultimo giro di giostra dei quattro amici per simboleggiare l’arrivo del consumismo e la fine dell’adolescenza mi sembra un po’ come mostrare l'impollinazione delle api ed il lancio di un missile per rappresentare le dinamiche dell'amplesso. Se aggiungete “Absolute Beginnersdel Duca Bianco sparata a palla degli altoparlanti il tutto si commenta da sé).
Salvatores si limita a sviluppare la trama (peraltro pesantemente modificata e mortificata in fase di sceneggiatura) una scena dietro l’altra senza mai nemmeno provare a portare avanti una qualsivoglia idea di cinema o di regia.

Strutturalmente, il film non riesce ad emanciparsi dall’abusato genere del “romanzo di formazione”. Pertanto, si racconta del solito gruppo di amici che, tra gli anni ’80 e gli anni ’90, vive sulla propria pelle gli ultimi fasti del regime, la caduta del muro di Berlino, il ritorno dell’esercito russo e la guerra in Cecenia. Nel mezzo, avventure, amore e scazzottate. Il tutto, con una carica epica che fa apparire Bruno Vespa come un novello Omero.


Come nella più consolidata tradizione, Kolyma e Gagarin (i due principali protagonisti amici per la pelle) finiranno per percorrere strade diverse e separarsi. L’epilogo non potrà che essere tragico.

Ero preparato al fatto che la trasposizione cinematografica dell’ottimo romanzo di Lilin comportasse l’adozione di drastici adattamenti: troppo sfaccettato, troppo corale, troppo poco romanzo l’originale racconto cartaceo per poter essere trasposto sugli schermi senza un grande lavoro di adattamento e di riscrittura.
Mi auguravo, tuttavia, un’operazione “alla Gomorra”.
Garrone (l’unico vero regista italiano degno di questo nome degli ultimi vent’anni), era infatti riuscito ad approcciarsi all’opera di Saviano rinunciando dichiaratamente ad ogni ambizione di fedeltà narrativa, scegliendo consapevolmente di realizzare una ambiziosissima operazione di totale riscrittura capace di raccontare per immagini, colori e suoni quella che era l’essenza più intima e vera del romanzo-reportage di Saviano.


Gomorra” ed “Educazione siberiana” costituiscono due opere letterarie che, pur con innegabili differenze stilistiche e retoriche, sono accomunate dalla caratteristica di riuscire a generare nel lettore una sorta di shock culturale. La lettura dei manoscritti ci ricorda bruscamente come anche per noi figli della banda larga, dei voli low-cost, di wikipedia e dei social network, il mondo rimanga ancora un luogo assai sconosciuto e misterioso.
Tra le Vele di Scampia ed le modeste abitazioni dei discendenti dei guerrieri urca , esistono uomini e luoghi che rendono il mondo meno globale ed omologato di quanto immaginiamo, sgretolando di colpo tutte le nostre ambizioni di conoscenza e di controllo sulle cose.

Purtroppo, Salvatores non è nemmeno la brutta copia di Garrone e, contrariamente a quest’ultimo, il regista napoletano cede troppo facilmente e troppo presto alla tentazione di percorrere la via più facile: perciò, ecco apparecchiata una bella storiellina di amicizia, disillusione e vendetta che non riesce mai ad elevarsi al rango di affresco.

Può darsi che a Salvatores non interessasse affatto approfondire l’argomento e abbia consapevolmente scelto di non avventurarsi dentro i meandri della cultura dei discendenti dei guerrieri delle foreste siberiane. Ve lo concedo. Lasciatemi tuttavia dire che prendere “Educazione siberiana” e ridurlo al solito film di giovani che prima sono grandi amici, poi litigano, poi si ritrovano e infine si ammazzano è uno spreco enorme e una grande occasione mancata. Questo concedetelo al sottoscritto. Sempre con le dovute differenze, è come prendere "Delitto e castigo" e farci su un bel thriller...

Il peccato mortale del film di Salvatores è proprio quello di aver rinunciato (consapevolmente o meno) ad affrontare di petto lo shock culturale rappresentato dal clan dei siberiani. Il regista non prende mai una posizione, nemmeno efficacemente descrittiva, troppo impaurito all’idea di sembrare in qualche modo accondiscendente o critico o, magari, addirittura simpatizzante.
L’universo di Kolyma è un mondo totalmente alieno, parimenti ributtante e meravigliosamente affascinante in cui la violenza convive pacificamente con la devozione, il sacro col profano, il rispetto con l’umiltà, la vendetta con la pietà, il crimine con l'odio per il denaro, la solidarietà con la più impassibile ferocia: La Trasnistra è un inferno in terra, con città che sono prigioni e quartieri che sono gironi danteschi. Salvatores non ci capisce una mazza e ci spedisce innocue cartoline che fotografano solo la superficie dello stereotipo più scontato: la picca come compagna di vita, l’odio per il poliziotto, la visione dei pazzi come delle creature "volute da dio".
Beh, molta poca roba per chiunque abbia letto il libro. Elencare tutto quello che manca sarebbe inutile ed eccessivamente impietoso.

Il film è come i tatuaggi che ornano i corpi di questi moderni guerrieri: senza un codice che ne sveli i segreti essi non sono altro che rozzi segni di china sotto il primo strato di epidermide..
Il clan dei siberiani è molto più che furtarelli e scazzottate, ma Salvatores non trova mai la luce in grado di scioglierne gli ossimori.

Educazione siberiana” svela l’universo dei discendenti degli urca come i completi gessato, i baciolemani e gli scacciapensieri raccontano quello mafioso.



GIUDIZIO SINTETICO: Il film delle occasioni mancate: pessima regia, pessima sceneggiatura, cast discreto, ma totalmente sprecato. Quanto alla violenza, ce n’è di più in un film di Barboni con Bud Spencer e Terence Hill. Povera, povera, povera Italia.

VOTO: 3





  

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