22/08/13

STOKER (di Park Chan-wook)




Gli americani... gente strana!

Il loro immaginario, si sa, è stato sempre caratterizzato da un disperato e quasi patologico bisogno di eroi... probabilmente perché, più di ogni altra cosa al mondo, essi hanno manifestato un fottuto bisogno di nemici. Prima i Pellerossa, poi i Messicani, quindi i Tedeschi, i Russi, i Vietnamiti, gli Arabi… tutto fa brodo. L’importante è trovare sempre qualche minaccia al miglior sistema del mondo e al più desiderabile stile di vita del pianeta. Perché se qualcuno di molto cattivo lo minaccia, vuol dire che è veramente il miglior sistema del mondo! Che vuoi farci. Loro ragionano così.

I comunisti, da questo punto di vista, erano il nemico perfetto. Per quasi mezzo secolo, essi hanno evocato lo spettro delle paure più ancestrali, incarnando alla perfezione il mostro ricoperto di pelli e mangiatore di infanti che, dal freddo di una terra arida e inospitale, lanciava il suo spaventevole grido di morte verso la culla della Civiltà. Il bello dei russi era anche che non costava nulla trattarli malissimo (almeno sullo schermo)… tanto non erano un mercato aperto, per cui agli studios non poteva fregare di meno se quelli se la prendevano e mettevano su il muso. Tanto al cinema non ci andavano lo stesso e non compravano nemmeno i Levi’s e le Ford.
Poi è caduto il muro di Berlino. Quando si dice la sfiga…

Gli anni ‘90 sono stati anni di transizione. Finita la guerra fredda, sparite le superpotenze e crollati i principali regimi, a chi cazzo toccava la parte del cattivo? Gli anni ’90 sono stati caratterizzati da un botto di film sugli alieni, ma – si sa – non è che puoi tirare la corda troppo a lungo perché poi si spezza.

Poi c’è stato l’11 settembre! Tutto risolto, direte voi. Ni.
Il mondo arabo è stato accuratamente provinato e testato, ma come Nemico non rendeva altrettanto bene dei maledetti comunisti o degli sporchi vietcong… questo per svariati motivi.

Punto primo: il mondo arabo è un universo molteplice ed eclettico. Al suo interno convivono anime fondamentaliste, visioni laiche, spinte multiculturali, tradizioni millenarie, avanguardie studentesche. Quello che vuole un talebano afgano è completamente diverso da quello che desidera una studentessa di Teheran o di Damasco. Un commerciante egiziano non è assimilabile ad un pescatore indonesiano o ad un contadino del Bangladesh. L’islam dell’area swahili non è quello che trovi in Nigeria o in Camerun o a Manhattan… già, poi c’è il punto due, ossia che ci sono oltre due milioni e mezzo di americani mussulmani, di cui circa 70.000 solo a New York. E questo ci porta dritti-dritti verso il punto tre: vietcong, comunisti, pellerossa e alieni non rappresentavano un mercato di riferimento (anche solo da conquistare).
Il mondo arabo (almeno una sua grossa fetta) invece è ricco, è diffuso nei cinque continenti, compra le nike, indossa i levi’s, ascolta le musiche sull’ipod, compra blasonate squadre di calcio inglesi e guida macchine di importazione. E va al cinema a vedere i film americani. Per cui non si può esagerare accusandolo di tutti i mali del mondo. Sparare a zero sul mondo arabo, come si faceva sui comunisti, rischia di compromettere intere fette di mercato e di far volare via torte miliardarie. Quindi gli arabi sì, possono essere cattivi, ma col contagocce. E i cinesi? In fondo sono una superpotenza, hanno l'atomica, e poi sono gialli e con gli occhi a mandorla (e pure comunisti) come i vietcong. Come caratteristiche di base ci saremmo pure, solo che sono un miliardo e mezzo e si stanno aprendo al capitalismo. Vuoi mai che corriamo il rischio di farli incazzare giocandoci male l’ultima chance di vendere qualche stock di magliette degli AC/DC rimaste li dagli anni ‘80…?
E quindi… chi ci rimane?


Il 2013 sarà ricordato come l’anno dei COREANI: quelli del Nord, come avrete ormai intuito, hanno estratto la pagliuzza più corta e si sono beccati il ruolo di nuovo nemico oggettivo (il che, tra l'altro, ci offre il più impietoso specchio dei tempi di merda che stiamo vivendo, visto che è risaputo che la grandezza di un eroe, o di un popolo, è misurabile in rapporto alla grandezza dei suoi nemici). Quelli del nord sognano la bomba atomica, vivono di merda e sono guidati dal dittatore più deficente e tragicamente ridicolo di tutti i tempi (pensate solo che, recentemente, ha avuto la bella pensata di proporre un ruolo di confidente a quel campione di diplomazia internazionale di Dennis Rodman, al secolo "the worm").... Quelli del nord sono perfetti per fare il nemico: sono quattro gatti, senza una lira e concentrati tutti dall'altra parte del mondo. Non se li incula nessuno nemmeno di striscio per cui li puoi trattare malissimo e continuare a vendere magliette e blue-jeans al resto del globo come fossero noccioline allo zoo... Il problema rimane la credibilità del tutto (per il Vietnam, in effetti, c’era sempre lo spauracchio del caro vecchio comunismo, ma la Corea del Nord…? 8 americani su 10 non sanno nemmeno dove cazzo si trovi sulla carta geografica… come cazzo fai a convincerli non solo che devono avere strizza di quelli del Nord, ma anche che esistono quelli del Sud…?)
Fino a l'altro ieri, infatti, gli unici che credevano che i nord coreani potessero essere la nuova superpotenza da temere erano solo... i nord coreani.
Per completare l'operazione fai diventare il nord coreano il tuo nuovo super nemico occorreva dunque un piccolo aiutino... E chi, se non Hollywood, poteva riuscire nella titanica impresa? D'altronde, si sa: se laggiù si convincono di una cosa, stai sicuro che faranno di tutto per realizzarla. Per cui, se sono riusciti a convincere il mondo che la Coppola può essere considerata una regista, allora i nord coreani possono diventare i nuovi comunisti e i sud coreani i nostri migliori amici...

Chiarite le posizioni di principio, Hollywood è partita in tromba (e non ci si azzardi a dire che non c'è del vero professionismo!): così, tre tra i più importanti registi sudcoreani hanno appena finito di girare un film negli studios: Kim Jee-Woon (“The last stand”), Joon-ho Bong (“Snowpiercer”) e, appunto, Park Chan-wook (“Stoker”). Hye-jeong Kang (grandissima interprete di "Oldboy" e "Lady vendetta") ha interpretato il suo primo ruolo in una produzione americana. Doona Bae ha avuto una parte da protagonista nientepopodimento che nell'ultimo bellissimo film dei Wachowski... A brevissimo uscirà il remake di “Oldboy” firmato Spike Lee. Che dire? South Korea exploitation...



Quanto alla Corea del Nord, come detto, essa ha preso il posto degli alieni che distruggono la Casa Bianca (“Olympus has fallen”) e così ogni cosa è finita al suo posto. Gli americani hanno ancora il mondo da salvare ed un nemico (per quanto ridicolo) da combattere senza che ciò minacci ritorsioni pericolose o, ancor peggio, senza che ciò comprometta la vendita dei blue-jeans.

Ok, direte voi: quelli del nord non contano un cazzo e tutto è avvenuto loro malgrado... quando si sono rivolti al Verme per trovare scappatoie diplomatiche, quello ha scosso mestamente la testa dicendo che la rabbia è come foglio di carta di riso che va incontro alla rugiada del mattino... Più o meno. Si sa che il Verme si è fritto il cervello parecchi lustri fa…

Ma quelli del sud...? A loro, chi cazzo glielo ha fatto fare? A parte i soldi, voglio dire... Perché subire pressioni e ingerenze nella propria creatività autoriale (abituata a fare esattamente il cazzo che gli pare) per subire gli schizzinosissimi paletti degli studios hollywoodiani? Passi per gli attori, ma a gente come Kim Jee-Woon, Joon-ho Bong e ParkChan-wook... che sono dei registi di culto… ma che cazzo gli è venuto in mente?

Inutile divagare… visto che i programmi sono stati rispettati, non ci resta che tracciare una pima linea di bilancio. Allora, per quanto riguarda Kim Jee-Woon (che era, forse, quello più a rischio stronzata in ambito hollywoodiano) devo dire che invece, a lui, la gita ha fatto benissimo e che il suo "The last stand", nonostante le premesse a dir poco azzardate del progetto (una specie di western moderno con un redivivo Arnold Schwarzenegger nei panni del vecchio sceriffo) è veramente un gustoso prodottino, sicuramente meno estremo delle sue produzioni coreane, ma comunque intelligentemente confezionato e non figlio di particolari compromessi; di più, azzardo che il film abbia saputo rinvigorire l’epica di un genere che da anni arrancava e boccheggiava non trovando in patria degni interpreti. Non ho ancora avuto il piacere di visionare il film a stelle e strisce di Joon-ho, ma in lui ho una fiducia smisurata e so (o, almeno, spero vivamente) che saprà non deludermi.
Anche sul fronte attori l’operazione è riuscita piuttosto con successo e gli spettatori americani hanno così imparato che oltre ai cinesi, ai vietnamiti ed ai giapponesi esistono anche i coreani che si dividono in “quelli del Sud” (che sono quelli bravi e belli) e in “quelli del Nord” che sono come i comunisti di una volta.


E Park Chan-wook…? Ecco, diciamo che per Park l’operazione non è stata proprio un affarone. Certo che un po’ se l’è andata a cercare. Ma santo cielo. Possibile che il campione di sublimi vendette ed il bardo dei preti vampiro abbia potuto anche solo immaginare di dirigere un film non solo scritto da altri, ma scritto da Wentworth Miller??? Quello di "Prison Break" coi tatuaggi... Cazzo, Park, ma l'hai letto PRIMA il copione? o non ti hanno dato la copia in coreano con la scusa che si era inceppata la Xerox...?

Scusate, ma se non sparavo il pippone non sapevo proprio come uscire da questa recensione, vista la pochezza del film.

"Stoker" riesce a plagiare mille cose belle e ad essere lo stesso un brutto film. La storia è presa di pacca da Pasolini ("Teorema") e da Miike ("Visitor Q") ed è quella del nucleo famigliare che viene scombussolato dall'arrivo improvviso di un estraneo che ne turba le fondamenta fino a svelarne le fragilità ed a farle crollare. Ma c'è anche tanto Hitchcock ("L'ombra del dubbio") e persino un po' di Lynch. Il titolo "Stoker", con il suo non involontario richiamo al padre di tutti i vampiri, rimane una delle tante non mantenute promesse.

Il vecchio Park, poveretto, il suo prova anche a farlo e non gira neanche malissimo; certo, c'è molta (troppa) maniera e tanto mestiere (carrellate infinite e sublimi movimenti di camera, ahimè completamente inutili, si susseguono ogni due per tre); dettagli che vorrebbero essere emblematici e simbolici sono talmente telefonati ed insistiti che diventano pesanti come macigni (le scarpe, il ragno, la matita insanguinata, le lettere, l'ombrello giallo). Tutto è ridondante e questa eccessiva insistenza finisce per far perdere ogni valore alle cose (anche alle buone intuizioni). Il film vorrebbe solleticare i dubbi, alimentare i sospetti, giocare con i presentimenti (dei protagonisti e del pubblico) e, invece, annoia perché indica con troppa insistenza dove si andrà inevitabilmente a parare (l’hai visto il ragno? Ma l’hai visto bene? E le scarpe? Sei sicuro che le hai viste le scarpe? Adesso te le faccio rivedere perché magari non eri attento. Ecco, ora le hai viste bene? E il ragno? te lo ricordi, vero?).


Ve lo concedo, ci sono un paio di movimenti di camera di abbacinante bellezza, ma anche questi sono talmente avulsi dal senso della pellicola che paiono più un vezzo del regista che una trovata funzionale al senso del racconto.
Del resto, il vero problema, al di la dei manierismi di Park, è e rimane la sceneggiatura di quel brocco di Wentworth. A Wentworth!!! Ma che cazzo c'è volevi dì? Giuro che c'ho provato, mi ci sono messo di impegno, ma proprio non ho capito il senso del film. Allora, la locandina recita testualmente: “quando l'innocenza finisce. Ma de che? Ma quale innocenza? È perché finisce? Insomma, 'sto zio riappare dopo che nessuno ne aveva più saputo nulla e d'amblè si è già conquistato il cuore della novella vedova (che non da l'idea di essere poi mai stata così devota al defunto marito). La figlia, affettivamente legatissima al padre morto, passa senza una ragione logica dal timore e dal sospetto verso lo zio all'amore sviscerate per sto personaggio assolutamente privo di qualsivoglia carisma per poi cambiare ancora una volta idea e diventare peggio di lui. La fine dell'innocenza è simboleggiata da un paio di décolleté rosse col tacco regalate dallo zio alla nipotina, che interrompono una catena di regali paterni, durata diciotto anni, consistenti in scarpette chiuse bianche e blu (quale profondità: il padre che vuole preservare l'innocenza della giovine e l'estraneo che la turba coi suoi regali ammiccanti).
Almeno si va giù duro di violenza? Macché! Il regista che dieci anni fa ci aveva fatto innamorare a suon di martellate, ci va talmente col filtro, smarrendosi nel proprio gioco di estetismi e ammiccamenti, che finisce col far venire il latte alle ginocchia anche ai più ben disposti.




Matthew Goode è espressivo come un palo ed è credibile nel ruolo di killer seriale e tombeur de fammes (passando dalle milf alle teens con identica agilità) come io lo sarei io a giocare la finale di coppa del mondo di calcio (chi mi conosce sa di cosa sono capace con un pallone tra i piedi).
La Kidman è bravissima ad interpretare Nina Moric al punto che la Wasikowska, al confronto, sembra un'attrice navigata... Tuttavia, se volete una vera Lolita capace di farvi venire i cattivi pensieri mentre, vestita da collegiale, annoda con aria al tempo stesso innocente e spaventata e lubrica un gambo di ciliegia, rispolverate le vecchie VHS di "Twin Peaks" con una Sherilyn Fenn da perderci il sonno e la vista...

Quanto al sesso, ci si aspetterebbe che in un film del genere esso costituisca uno degli elementi portanti, capace di turbare o, quanto meno, impressionare i più sensibili, magari facendo lievemente arrossire anche gli sporcaccioni più pervertiti. Ma dio bono! Sei Park Chan-wook, sei coreano (e i coreani, al cinema, sanno mostrare cose davvero turpi quando ci si mettono) e stai girando un film sulla perdita dell’innocenza in cui turbamenti sessuali si mischiano a istinti omicidi in una teen che porta il cognome del padre di Dracula… è mai possibile che la cosa più spinta che riesci a girare è un mezzo ditalino...???


Come thriller, il film risulta una totale catastrofe: le telefonate si sprecano; tutto suona finto e poco reale, per nulla reale! Se sei Lynch puoi raccontarmi quel cazzo che vuoi; tanto è la cornice che tiene in piedi il tutto. E Lynch è il migliore del mondo a costruire cornici di languida lascivia, di perverso orrore, di intrigante mistero, di amore romantico e di umorismo pulp… è la cornice che porta avanti il film; la storia è puro pretesto. Fatele raccontare ad un altro quelle stesse storie. Vi ritroverete con “Stoker”.

Tra l’altro, il film azzarda anche la sua  piccola (a)morale: "Io sono questa. Così come il fiore che non può scegliere il suo colore, noi non siamo responsabili per quello che siamo diventati". Ma, più che una provocatoria dichiarazione filosofico-esistenziale sulla genealogia del male (che, francamente, pare un po’ buttata la e non sviluppata adeguatamente nel corso del film), sembra un voler mettere le mani avanti del regista come a dire: non è colpa mia se il film fa così cagare…


GIUDIZIO SINTETICO: Il film del vorrei, ma non posso. La colpa, equamente distribuita, al regista (che non doveva accettare un’operazione del genere e che non riesce mai a riscattare); agli studios (perché non prendi uno come Park chan-wook per poi tenerlo chiuso in gabbia); a Wentworth Miller, che si sente Hitchcock, ma scrive robe buone per “Don Matteo”; agli americani, per aver rovinato la carriera di un'altro regista asiatico.

VOTO: 4/5



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1 commento:

  1. "La Kidman è bravissima ad interpretare Nina Moric" è la mia frase preferita di sempre.
    Di tutti i tempi.
    Passato, presente e futuro.
    Amen.

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