Il regista israeliano non brilla certo per imparzialità, ma non si può negare che, il ragazzo, sappia girare e gestire la materia con grande mestiere: in questo thriller politico, il ritmo è buono, così come la gestione corale dei personaggi e la loro costruzione drammaturgica.
Sicuramente, ci sono delle ingenuità e alcuni schematismi di fondo, ma ci sono almeno un paio di sequenze (strepitoso il lancio dalla tromba delle scale) che lasciano veramente a bocca aperta.
Certo, politicamente il film fa acqua da tutte le parti ed è assolutamente integralista rispetto all'idea, tutta israeliana, che l'unico arabo buono è quello morto; ideologicamente è semplicemente imbarazzante, ma, con questo metro, non si salva praticamente nessun film americano in cui, tra russi mangia bambini, indiani cacciatori di scalpi e talebani assetati di sangue, la demagogia regna incontrastata e sovrana.
Il regista ha la sua personalissima visione del mondo (giusta o sbagliata che sia), ma non ha fatto un film politico (nel qual caso, si sarebbe meritato le più ampie critiche), bensì un prodotto di puro genere (seppur connotato politicamente).
È dunque la capacità di muoversi all'interno del genere che va valutata, non l'ideologismo di cui è indiscutibilmente impregnato. Se no, ribadisco, abbiate il coraggio di sputate anche su "L'invasione degli ultracorpi" o la filmografia di John Ford. Per ora, promosso.
VOTO: 7 (politicamente 2)
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