06/09/13

FISH & CAT - MAHI VA GORBEH (di Shaharam Mokri)



Allora, questo giovane regista iraniano gira una roba finanziata coi regali della comunione (che, essendo lui iraniano, dubito abbia mai celebrato e, quindi, parliamo di veramente pochi soldi) ed interpretata dai vicini di casa e dagli amichetti di quartiere. Eppure, il film spacca di brutto e si rivela il vero capolavoro della mostra.
Se lo faceva Nolan, avremmo avuto milioni di critici segaioli pronti a gridare al genio ed all'avvento del nuovo Kubrick!
Invece, lo gira un 36enne persiano e, quindi, non se lo cagherà nessuno!
Ed è un vero delitto, perché il ragazzo si permette di prendere uno come Gitai, bullarlo come uno studentello scandinavo, caricarselo sul pulmino della scuola e mangiargli letteralmente in testa, senza posate!
Qui, il piano sequenza (138 minuti) non solo ha assolutamente senso, ma viene completamente reinventato e portato a livelli di inedita espressività. 
Shaharam Mokri dà nettamente la sensazione di avere, in ogni momento, il più pieno e totale controllo della propria operazione, che si dipana secondo una partitura perfetta e dalla precisione svizzera.
Il film apre su una scritta in sovrimpressione, che ha la funzione di agire, fin da subito, sullo stato di tensione psicologica dello spettatore e di condizionarne pesantemente la fruizione: storia vera, omicidi di campeggiatori, chef cannibali e Kebab di carne umana! Roba tosta, insomma e, tanto per rimanere in climax, i primi venti minuti di girato riprendono due dei tre cuochi intenti ad affilare coltelli e condurre conversazioni assolutamente folli.
Il famigerato ristorante, dal suo canto, sembra la baita estiva della famiglia di Leatherface.
A poca distanza, giovani campeggiatori allestiscono un campo per un festival di acquiloni.
Agnellini sacrificali...
Ripieno per panini...


Date le abili premesse poste in essere dal regista, mi metto bello comodo in poltrona, in attesa che cominci la mattanza e si manifesti il più becero orrore. Ed invece no! Niente squartamenti; niente sbudellamenti; non si affoga nel plasma e non si inciampa tra le interiora. Infatti, a partire da un certo punto, quando sembra ormai certo dove il film andrà inevitabilmente a parare, lo stesso si chiude inaspettatamente a riccio, trasformandosi in un quadro di Esher da cui è impossibile trovare una via d'uscita.


Per oltre due ore, infatti, il regista riesce a raccontare - in una sorta di loop infernale - gli stessi identici dieci minuti di insignificante nulla: qualche campeggiatore è alle prese col montaggio della tenda, una ragazza esplora i boschi, qualcun altro cerca oggetti che ha perso; i due cuochi cannibali studiano le prede.
La macchina da presa - senza mai staccare un secondo - riesce nella miracolosa impresa di seguire, una dopo l'altra, tutte le vicende che si svolgono, contemporaneamente, in diversi luoghi ed a diversi personaggi. Esclusa la prima mezz'ora, in cui il piano sequenza, secondo la natura che gli è propria, racconta in modo lineare i primi trenta minuti della storia, il resto del film si concentra sulla messa in scena di un episodio del tutto insignificante e marginale, rispetto ai fatti narrati e che, in tempi effettivi, non durerà più di una manciata di minuti. Così, la stessa scena viene raccontata, prima, dal punto di osservazione di un personaggio, poi, vista da quello di un altro e poi, ancora, diviene lo sfondo di una diversa scena, che avviene da tutt'altra parte, ma nello stesso preciso momento. Il gioco potrebbe continuare all'infinito, ma attenzione! al contrario di quello che si potrebbe pensare, questa non è solo una trovata brillante, un esercizio di stile o un mero divertissement dell'autore. Shaharam Mokri, infatti, costruisce un insolito film di genere, che non rispetta nessuna delle regole del genere e lo gira con una tecnica linguistica della quale ribalta completamente la natura. 
In tal modo, il piano sequenza si trasforma in montaggio ed il genere in un documentario sui campeggiatori. 
Al regista preme ragionare sul Cinema, sulle sue potenzialità e sul suo linguaggio, giocando abilmente sui preconcetti (ad esempio, sapere che si sta per guardare un film di chef cannibali ci pone in uno stato mentale diverso da quello di un film d'amore tra i banchi di scuola... e, questo, prima ancora che la pellicola cominci) e sulle implicazioni visive e linguistiche determinate da uno stile o una tecnica, piuttosto che un'altra (fino ad oggi, scegliere il piano sequenza, invece del montaggio, implicava, necessariamente, girare un certo tipo di film e raccontare un certo tipo di storia). Shaharam Mokri, dunque, comprende questo assunto e si diverte a romperlo, ribaltandone completamente i presupposti.. così, abbiamo un piano sequenza che avanza e retrocede, scarta e si riavvolge all'interno di un film di genere che, senza la didascalia introduttiva, avremmo fruito, per come effettivamente è girato, con stato d'animo completamente diverso. A conferma che tutte queste non sono semplici seghe mentali di chi scrive, ma una dichiarata e programmata scelta autoriale, credo che sia assolutamente indicativa la provocazione di Shaharam Mokri di mostrare, ad un certo pinto, addirittura il set del film, con tanto di regista, assistente ed orchestra che suona la colonna sonora. Genio.



GIUDIZIO SINTETICO: Roba che non si vedeva, con tale intelligenza, dai tempi di Godard... Cari produttori di cinema, ascoltate un cretino e ricoprite questo giovane talento di soldi, mezzi e due attori due. Forse il cinema non è ancora morto. 

VOTO: 9

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