22/02/16

BLACK MIRROR (di Charlie Brooker)



Black Mirror” costituisce, senza dubbio, una delle serie più innovative del decennio e, sicuramente, anche una delle più inquietanti e disturbanti.

È una serie inglese, antologica e nerissima.

I sei episodi, da cinquanta minuti, che compongono le prime due stagioni sono completamente autonomi tra loro: cast diversi, location diverse, generi diversi. L’unico elemento che accomuna tutte le puntate (alle quali si deve aggiungere un Christmas Special della durata di un’ora e mezzo circa), è quello tematico: la serie costituisce un’ampia, e spesso apocalittica, riflessione sull’influenza e sull’importanza della tecnologia nella vita di tutti noi. Detta così, sembrerebbe una robetta di fantascienza buona solo per i nerd più oltranzisti; in realtà, la fantascienza c’entra solo fino ad un certo punto, dal momento che ogni puntata, oltre a trattare un diverso argomento (elezioni, dinamiche di coppia, elaborazione del lutto), affronta anche un diverso genere, spaziando con grande scioltezza dall’action puro al drama famigliare più cupo, dalla commedia surreale alla satira politica. Molto difficile, quindi, tentare di catalogare una serie così eclettica e sarebbe oltremodo riduttivo, per non dire inutile, cercare di relegarla all’interno di una sola specifica categoria.
Per capire come una serie come “Black Mirror” non sia il frutto del caso o di una semplice “fortunata intuizione”, bensì costituisca un prodotto abilmente pianificato, estremamente consapevole e magistralmente realizzato, al punto da riuscire a diventare uno dei punti di riferimento non solo della televisione britannica, ma di chiunque voglia anche solo provare a comprendere il mondo che lo circonda e misurarsi con la complessità del contemporaneo, è necessario spendere due parole sul suo autore ed ideatore, Charlie Brooker.



Charlie Brooker, classe 1971, è un personaggio alquanto bizzarro ed estroverso che, nel corso della sua brillante carriera, ha fatto incursioni in ogni ambito dei media, con risultati sempre destabilizzanti e assai spesso sorprendenti. Brooker è stato fumettista, sceneggiatore, conduttore e produttore televisivo; ha lavorato per la radio, la televisione, la carta stampata e internet. Il suo stile è caratterizzato da un sense of humor caustico e crudele, che spesso si accompagna ad una visione profondamente negativa e pessimista della società e dell’umanità in generale. Immaginate la surreale irriverenza dei Monty Python, ma miscelata al vetriolo e virata decisamente verso il nero.

Brooker è stato l’autore, nonché il presentatore, di noti programmi andati in onda sulla TV britannica (10 O’Clock Live; Screenwipe; Newswipe) e, soprattutto, si è inventato quella genialata che fu “Dead Set”, miniserie horror ambientata nella casa del Grande Fratello, candidata ai BAFTA come “Best Drama Serial” e che noi di Serial K abbiamo avuto il privilegio di proiettare integralmente nella giornata inaugurale della nostra rassegna “Festivi e Seriali”.



Il suo grande eclettismo gli ha consentito di misurarsi con ogni tipo di produzione, programma, genere e media, suscitando spesso feroci polemiche, ma ottenendo, al contempo, anche grandi apprezzamenti sia dal pubblico che dalla critica.
Stiamo parlando di un signore che nel 2009 è stato capace di vincere il premio “Columnist of the Year” ai British Press Awards e, l’anno successivo il “Best Entertainment Programme” della Royal Television Society. Come se non bastasse, si è portato a casa ben tre British Comedy Awards (nel 2009, 2011 e 2012) e, come detto, una candidatura ai BAFTA. Oltre al premio “Emmy” proprio per “Black Mirror”.

Prima di diventare un seguitissimo opinionista del “Guardian”, si è fatto le ossa come fumettista per “Oink!” ed ha persino ha scritto su importanti riviste di videogiochi; per dare un’idea del personaggio, sappiate che si era inventato una rubrica per insultare chiunque avesse avuto il coraggio di scrivergli, con tanto di premio per la lettera più bella; realizzò una vignetta (“Lara Croft's Cruelty Zoo”) a parodia del famoso gioco “Tomb Raider”, con immagini ritoccate di bambini imbrattati di sangue che si divertivano a fracassare a martellate il cranio di una scimmia, a sparare ad un tucano e a fare a pezzi un orango, con una motosega; il tutto, per mettere alla berlina un gioco la cui protagonista, sovente, si trovava ad uccidere degli animali; la vignetta fece talmente scalpore che provocò addirittura il ritiro della rivista da parte di molti esercenti. Il 24 ottobre 2004, in occasione delle presidenziali USA, Brooker scrisse un causticissimo articolo sul candidato George W. Bush, che si concludeva con: “John Wilkkes Both, Lee Harvey Oswald, John Hinckley jr… dove siete ora che abbiamo più bisogno di voi?”.


Questa lunga premessa era fondamentale per far capire come “Black Mirror” non sia un semplice divertissement per gli amanti del genere fantascientifico, bensì costituisca un’opera assai complessa, profondamente consapevole e, a tratti, persino profetica. La serie, che è andata in onda per la prima volta il 4 dicembre 2011 su uno dei più importanti canali inglesi, Channel 4, è una profonda e amara riflessione sull’importanza, l’influenza ed il condizionamento esercitato dalla tecnologia sulla vita di noi tutti. In comune con la migliore fantascienza, “Black Mirror” ha il fatto di non preoccuparsi tanto di offrire plausibili risposte, quanto di formulare inquietanti domande. Brooker immagina scenari inesistenti, ma altamente possibili, dentro ai quali si diverte a costruire storie innescate dal classico schema “what if…” per poi osservare i suoi personaggi reagire (o subire) il contesto in cui sono di volta in volta immersi. Cosa succederebbe se avessimo la possibilità di rivedere il nostro passato come un film? Cosa succederebbe se il pupazzo di un comico si candidasse alle elezioni? E se potessimo far rivivere i morti tramite alias tecnologici? E se un politico venisse ricattato e sfidato pubblicamente attraverso i social media? Tutte queste domande, e molte altre ancora, costituiscono la premessa da cui muove Brooker. Tutta l’umanità viene posta nella condizione di cavia per i suoi crudeli esperimenti antropologici, sociali, etici e persino filosofici: quanto siamo effettivamente liberi? Quanto il nostro sapere ci ha reso migliori? Le macchine sono una protesi che amplifica il nostro raggio d’azione ed estende i nostri limiti, oppure sono catene che subdolamente ci hanno reso degli schiavi inconsapevoli? Ma questo non vale solo per l’umanità rappresentata sullo schermo; vale anche e soprattutto per noi spettatori che, dall’altra parte di quello schermo, osserviamo esterrefatti il destino che ci attende.


Già, perché il black mirror del titolo costituisce un dichiarato riferimento agli schermi neri dei nostri televisori, dei tablet, dei nostri dispositivi mobile e dei computer… Gli specchi di “Black Mirror”, tuttavia, non sono come quelli di Alice, che spalancano la porta verso la tana del bianconiglio, con tutte le sue meravigliose promesse; sono superfici nere ed opache che non riflettono mai la nostra vera immagine, ma che, invece, ce ne offrono una diversa in cambio. Gli specchi di “Black Mirror” non mostrano chi siamo realmente, bensì chi vorremmo essere o, peggio, chi dovremo diventare. Se lo specchio delle brame della strega di Biancaneve, alla fin fine, era una bocca della verità che rifletteva, comunque, sempre la Realtà (Biancaneve è la più bella del reame), provocando l’ira della cattiva e scatenando terribili avvenimenti (perché, come dice la canzone, la Verità fa male), gli specchi neri della serie ideata da Brooker ne costituiscono l’evoluzione 2.0. Sono specchi bui che vendono una verità amarissima, facendola passare per una bellissima promessa. La promessa è quella della libertà, delle infinite possibilità, della connessione dei popoli e dell’uguaglianza sociale. La realtà è quella dell’isolamento, della paura, del condizionamento e del controllo. Le nostri vite di tutti i giorni – consapevoli o meno – dipendono da quegli specchi neri al punto che non riusciremmo più a farne a meno, tanto ci sono divenuti indispensabili per poter lavorare, comunicare, divertirci.



Si può dire che il black mirror sia diventato il nostro principale interlocutore per informarci, per conoscere gli altri, per intrattenerci e per evadere. I black mirror sono la nostra finestra sul mondo, sono il contenitore dei nostri ricordi e lo strumento cui ci affidiamo per accrescere la nostra conoscenza. Il problema è che non sono superfici riflettenti, ma schermi che proiettano immagini che – nel bene e nel male - ci condizionano, ci plasmano, ci manipolano. Ci posseggono. Provate a pensare al vostro lavoro senza computer; alla vostra socialità senza il cellulare; alla vostra produttività senza l’utilizzo di mezzi diversi dal vostro cervello. Tutto questo ha un’incredibile influenza sul nostro contesto personale e sociale. Aggiungete l’estrema rapidità con cui tutto ciò è avvenuto e riflettete sul fatto che questa rivoluzione è stata avviata e spinta verso i suoi massimi limiti per interessi prevalentemente economici e commerciali e potrete rendervi conto quanto, tutto ciò, abbia condotto a risultati talmente eccessivi ed inaspettati da rendere quasi impossibile capire fino in fondo l’effettiva portata del fenomeno e quanto questo ci abbia cambiato e ci cambi tutti i giorni.



“Una volta che abbiamo consegnato i nostri sensi e i nostri sistemi nervosi alle manipolazioni di coloro che cercano di trarre profitti prendendo in affitto i nostri occhi, le orecchie e i nervi, in realtà non abbiamo più diritti. Cedere occhi, orecchie e nervi a interessi commerciali è come consegnare il linguaggio comune a un'azienda privata o dare in monopolio a una società l'atmosfera terrestre.”
Queste non sono le apocalittiche previsioni di un misconosciuto scrittore di fantascienza di serie z, ma le profetiche analisi di uno dei più importanti sociologi del ‘900, Marshall McLuhan, colui che per primo teorizzò l’impatto che la tecnologia ed il controllo della comunicazione avrebbero avuto sulla società, attraverso la semplice locuzione che “il medium è il messaggio”.

Beh, non male per una serie televisiva prodotta da un’emittente pubblica (Grazie RAI!!! Grazie Don Matteo!!!).  


Black Mirror” è pura sociologia della comunicazione contemporanea. È McLuhan in movimento; è l’Intelligenza Collettiva di Pierre Levyaggiornata da De Kerckhove e spremuta dentro sette futuristici episodi che sono amari come una medicina, ma fanno bene come le vitamine. “Black Mirror”, semplicemente, è uno dei prodotti più colti, consapevoli e raffinati del panorama televisivo mondiale.
La serie di Charlie Brooker apre un dibattito sulla robotica, sui social network, la virtual identity, la nanotecnologia, la televisione e tutto quello che permea la nostra esistenza nel quotidiano. Lo stesso autore, in una intervista, ha dichiarato “se la tecnologia è una droga - e lo è - quali sono i suoi effetti collaterali? Black Mirror si innesta in quest’area, tra la delizia e il dolore, tra il piacere e la sofferenza”. E lo fa con sceneggiature assolutamente coinvolgenti, postmoderne, all’avanguardia; attraverso trame sofisticate che raccontano misteri, gialli, thriller, drammi. Colpi di genio assoluti. Mettendo in scena situazioni scomode, tremende, grottescamente inquietanti.


Soprattutto, ci mostra tutto questo attraverso un altro black mirror, quello della nostra televisione, o dello schermo del computer dentro cui vediamo la serie. E allora, qual è il nostro ruolo? Da spettatori veniamo indotti a partecipare emotivamente alle vicende , ma anche a prendere una posizione etica, politica ed intellettuale rispetto a quello che ci viene mostrato. Siamo consumatori che fruiscono la serie proprio attraverso lo stesso monitor da cui veniamo messi in guardia... Cos’è, dunque, “Black Mirror”? un pamphlet rivoluzionario? Un monito allarmista? È manipolazione? inganno? un trucco commerciale? In fondo Brooker campa vendendoci serie e programmi televisivi… perché dovrebbe sputare nel piatto dove mangia dicendoci di starne alla larga...? 

Ecco che, ancora una volta, lo specchio nero si è preso gioco di tutti noi. 



GIUDIZIO SINTETICO: Disturbante, inquietante, rivoluzionaria, provocatoria... il futuro è adesso. Al di la' dei gusti personali e delle preferenze di genere, guardate Black Mirror! Fidatevi!

VOTO: 9




P.S:

"Black Mirror" costituisce il quarto imperdibile appuntamento di "Festivi & Seriali - Rassegne di voracità televisiva", il primo Festival italiano dedicato al binge watching. La rassegna è organizzata da "Serial K - Le serie TV in Radio", l'unica trasmissione radiofonica italiana dedicata al mondo delle serie tv. La trasmissione è curata da Tommaso Gavioli, Giulio Muratori, Dodi Germano, Eugenia Fattori e, naturalmente, dal sottoscritto vostro affezionatissimo e va in onda sulle frequenze di Radio Città del Capo (94.700 e 96.325 MHz) ogni lunedì dalle 20:30 alle 21:30.

"Black Mirrror", dunque, verrà proiettata per intero, in lingua originale con sottotitoli in italiano, domenica 28 febbraio, alle ore 14, presso il Loft di Kinodromo

Non state a casa a farvi rincoglionire dagli specchi neri... noi proiettiamo su un muro bianco e ci mettiamo pure la birra e vari generi di conforto. Portatevi la morosa, il cane, un amico e, se proprio volete, anche un maiale (non non giudichiamo nessuno)... ma non perdetevi questo strepitoso evento.





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