12/02/16

TRUMBO (di Jay Roach)


Trumbo”, purtroppo, è solo l’ultima delle grandi occasioni mancate di Hollywood.

Sarà che, per natura, mi fido poco degli Studios, figuriamoci quando devono fare mea culpa e cercare di ripulirsi la coscienza (per giunta, con solo quei 60 anni di ritardo)… tuttavia, a ben pensarci, il biopic di Jay Roach non ha mai realmente avuto grandi chance di riuscire ad elevarsi, almeno di una spanna, al di sopra del livello di semplice marchettona.

Primo indizio: affidare la storia di Trumbo e del maccartismo al regista di “Austin Powers”,”Mi presenti i tuoi?” e “A cena con un cretino” è un po’ come chiedere a Moccia di rifare “Drive” o a Ozpetek di girare il remake di “Querelle de Brest”… difficile farne uscire qualcosa di buono! se poi il film lo fai scrivere allo sceneggiatore di “Lois & Clark” e “The Magicians”, ecco che i leciti sospetti tendono velocemente a trasformarsi in tristi certezze.

Secondo indizio: gli Studios sono sempre stati bravissimi a raccontare storie di riscatto, di rivincita e di eroismo… a rappresentare il mito del self made man, la favola del tutti possiamo diventare Presidente, l’utopia della terra della libertà e delle opportunità. È più forte di loro: ce l’hanno nel DNA. Queste storie gli vengono da dio e, probabilmente, il motivo risiede nel fatto che, in fondo in fondo, ci credono veramente. O, almeno, gli piace crederci. Sia chiaro, non sono affatto dei poveri ingenui e sanno benissimo di stare facendo della bieca propaganda a scopo speculativo. Eppure, sono convinto che, nel profondo, una parte di loro sia intimamente felice di vendere il sogno americano… che magari non sarà vero per tutti, ma per qualcuno – cazzo – sì! Per questo, probabilmente, non sono molto a loro agio con l’autocritica e l’analisi dei propri errori.
L’America è una nazione giovane e impulsiva, che, non avendo un passato forte e glorioso a cui ispirarsi, si è creata una potente mitologia del presente e ha fondato la propria forza su promesse di radiosi futuri: Libertà, Successo, Opportunità.


Il problema è che la formula funziona da dio quando hai un eroe da esaltare e, ancora meglio, quando hai un nemico spietato che vuole frapporsi tra te e la realizzazione di quei sogni. Che siano gli spietati nazisti, i bolscevichi mangiatori di bambini, gli alieni, gli zombie o i fanatici mujaheddin, per loro è uguale. I cattivi funzionano nei film hollywoodiani perché non ci può essere eroe senza adeguata nemesi. E, se ci pensate bene, è difficile pensare ad un film a stelle e strisce senza almeno un eroe. I cattivi, infatti, esaltano le virtù del popolo americano, magnificano il suo coraggio e celebrano la sua forza. Poi finisce sempre che l’eroe vince, il cattivo muore e il bene trionfa. E vai di archi e di violini, cavalcate verso il tramonto e sontuosi titoli di coda. Quando, però, si tratta di analizzare le proprie debolezze, di misurare i limiti di quei sogni e quando il nemico è dentro casa, i cazzi diventano subito amarissimi e generalmente, vengono fuori delle baggianate tremende. Non ci riescono proprio. È più forte di loro. Cazzo, hanno inventato i supereroi; hanno Bruce Willis e John Wayne e Ronald Reagan. Il massimo dell’introspezione che conoscono è costituita dalle turbe di Batman… loro DEVONO essere i buoni della Storia. Dategli una guerra da vincere, una donzella da salvare o un’impresa da compiere e vi porteranno sempre a casa un film che funziona. Non costringeteli, però, a mettere in discussione il loro stile di vita e le loro convinzioni, perché, se no, li ammazzate… ci sono voluti due secoli per cominciare  a farsi un esame di coscienza sul trattamento inflitto ai nativi; ancora non è stato fatto un mea culpa sul Vietnam (semmai sui reduci) e, dopo l’11 settembre, pensate a quanti film sono usciti con almeno un arabo tra i cattivi.

Ecco, un film come “Trumbo”, in cui i cattivi sono LORO, non mi sembra proprio nelle loro corde.

Terzo indizio: nel cast leggo che ci sono John Goodman e pure Luis C.K.; ecco, la coppia è sicuramente di valore e di prestigio, ma l’impressione – a parte la loro comunque ottima performance – è che siano stati chiamati e messi lì più per alleggerire i toni e strappare qualche sorriso, che per i loro indiscutibili meriti espressivi.

E, come si sa, tre indizi fanno quasi una prova…


Per chi non lo sapesse, Dalton Trumbo è stato uno dei più importanti sceneggiatori degli anni ’30 e ’40; si iscrisse al Partito Comunista Americano negli anni della Seconda Guerra Mondiale, quando i russi erano alleati e, pur essendo tra gli scrittori più pagati dagli Studios, fu sempre molto attivo per migliorare le condizioni di lavoro di tutte le altre maestranze del cinema, partecipando attivamente a scioperi e fomentando proteste. Alla fine del conflitto mondiale, i Russi divennero i nuovi nemici, scoppiò la Guerra Fredda e tutti i simpatizzanti di sinistra iniziarono ad essere visti molto male. Nel 1950, Trumbo, assieme ad altri nove importanti sceneggiatori (la c.d "Hollwood ten"), venne interrogato dal Congresso e arrestato per oltraggio, per essersi rifiutato di rivelare i nomi degli altri simpatizzanti comunisti. La sua carriera e la sua reputazione vennero distrutte, dovette lavorare sotto diversi pseudonomi (che gli impedirono di ritirare ben due premi Oscar) e la sua sostanziale riabilitazione avvenne solo dieci anni dopo, grazie ai film “Exodus” di Otto Preminger e “Spartacus” di Stanley Kubrick, con l'importante intercessione di Kirk Douglas.

Tutto questo il film di Jay Roach effettivamente lo racconta, ma lo fa in modo didascalico, banale e spesso fin troppo manicheo. Nessuno nega che quello che dovette subite Trumbo, e che subirono altre centinaia di migliaia di suoi concittadini, costituisce una delle pagine più vergognose ed infami della storia recente americana; che, in quegli anni, tra l’altro, era anche vivamente impegnata ad offuscare ogni dignità e negare ogni diritto alla popolazione afroamericana.

Però limitarsi a trattare i maccartisti come il Male incarnato, oggi, a settant’anni di distanza, costituisce una semplificazione non solo poco interessante, ma anche molto poco attendibile. Il film gioca con le contrapposizioni forti tipiche della favola Disneyana: da un lato i santi e le vittime, dall’altro gli oppressori e i carnefici. Le vittime sono bravi padri di famiglia, buoni amici e onesti lavoratori. I carnefici sono l’incarnazione sadica della crudeltà e del male assoluto. E non pagano nemmeno le tasse!!!
Mancava solo che Hilda avvelenasse una mela e parlasse con lo specchio e la sua performance da strega cattiva sarebbe stata assolutamente perfetta. Insomma, invece di analizzare il contesto storico, economico, culturale e sociale in cui questo odioso fenomeno ha potuto germogliare e prosperare, col placet iniziale di tutta la nazione, gli autori hanno preferito individuare tre o quattro figure malvagie cui attribuire tutta la colpa. Se Trumbo è stato fottuto, lo si deve alla malvagità di Hilda, alla stupidità della sua marionetta John Wayne e alle bassezze del Comitato per le Attività anti-americane. Tutto sicuramente vero, ma avrei di gran lunga preferito un’analisi più accurata del contesto, rispetto alla banale descrizione dei campioni del Male. E, da questo punto di vista, non mi basta che mi fai vedere il vicino stronzo che imbratta la piscina di Trumbo. Vorrei il suo pensiero, il suo punto di vista e le sue profonde motivazioni. I maccartisti e gli anticomunisti erano solo dei figli di puttana? Bravi tutti, oggi, a sparare sulla Croce Rossa e infierire su chi è stato (fortunatamente) sconfitto dalla Storia. Ma stiamo comunque parlando di anni pesantemente segnati dalla fobia del nucleare, dalla follia della corsa agli armamenti, dalle ferite della guerra in Corea, dagli echi della rivoluzione Cinese di Mao e dalla paura rossa. Possibile che i persecutori di Trumbo fossero tutti perfidi come Hilda o stupidi come il suo vicino?
Non voglio assolutamente fornire attenuanti o difese a chi perseguitò Trumbo, ma – a distanza di sessant’anni – sarebbe stato auspicabile un approccio alla materia meno banale e superficiale. Invece, “Trumbo” sembra uno di quei vecchi film che dipingevano i nazisti come pazzi invasati con la mania per gli stivali di cuoio, il bondage e con gli occhialini squadrati sempre calati sul naso aguzzo… difenterò pardone di mondo, ahahahaha.


Ecco, limitarsi a dire che i nazisti erano tutti brutti e cattivi non aiuta certo a spiegare come sia stato possibile che milioni di onesti cittadini e amorevoli padri di famiglia, ad un certo punto, si siano messi a infilare ebrei nei forni. O, quantomeno, a guardare dall’altra parte. M’interessano i processi mentali, psicologici e culturali che arrivano a costruire simili mostruosità, non i campioni di quei comportamenti. Forse, tutti noi saremmo stati dei nazisti (o fascisti, o maccartisti), date determinate condizioni di tempo, spazio e circostanze. E forse, saperlo, potrebbe aiutarci a prevenirlo. Se ci illudiamo che NOI saremmo stati diversi e se pensiamo di essere migliori, perché LORO erano bestie senz’anima, non solo facciamo un torno alla Storia, ma rischiamo di ripeterla. Ci vuole un attimo a trasformare il migliore degli uomini nel peggiore dei razzisti, degli antisemiti, dei maccartisti… pensate a come vediamo oggi il mondo islamico e facciamoci due domande sullo scontro culturale che tutti noi stiamo assecondando ed alimentando… ci basta vedere un arabo con la kefiah per pensare subito al kamikaze suicida o al pazzo invasato, dimentichi che esistono oltre 1 miliardo e mezzo di professanti (pari a quasi un quarto della popolazione mondiale) che con i sanguinari fondamentalisti non c’entra proprio una fava e che vuole vivere semplicemente la propria vita facendosi i cazzi propri. Come la maggior parte di noi.

Ecco, “Trumbo” poteva essere una gran bella occasione per affrontare l’argomento del pregiudizio, del sospetto e della paura del diverso, facendoci riflettere su come l’individuo possa essere manipolato e convinto che l’altro, solo perché professa idee, credi o culture diverse dalla nostra, costituisca un nemico pubblico e una minaccia al nostro stile di vita. Come se esistesse uno stile di vita nostro. Scriviamo con numeri arabi, adoriamo un palestinese come il figlio di dio, beviamo caffè e consultiamo carte geografiche… eppure non ci indigniamo come dovremmo ogni volta che sui giornali appaiono titoli che fomentano lo scontro di civiltà e che definiscono barbare le culture diverse dalla nostra… ognuno di noi sarebbe stato un potenziale maccartista e ognuno di noi, ogni giorno, deve costantemente fare i conti con la facile tentazione di cedere al pregiudizio, al sospetto e alla paura dell’altro.


Il film di Roach, invece, è il classico film scritto dai vincitori, quelli a cui la Storia ha dato (in questo caso, fortunatamente) ragione; il problema è che è un film inutile e pure piuttosto pericoloso. Perché dipinge i “cattivi” come caricature, come esseri spregevoli mossi solo da odio e da rancore. L’uomo, invece, è un animale complesso, sfaccettato, incoerente e pieno di sfumature. Lo scopo dei film come “Trumbo”, così come quelli sul nazismo o sul razzismo, non dovrebbe essere quello di farci odiare i cattivi, ma di farci riflettere su come sia facile diventarlo. E “Trumbo”, purtroppo, non ci riesce mai. Non ci interessa mai il punto di vista degli oppressori e non dubitiamo mai delle ragioni degli oppressi. Per carità, è sacrosanto, ma se si vuole raccontare la Storia, la semplificazione non è mai un merito. Il film è troppo manicheo, troppo smaccatamente di parte per essere realmente disturbante. Le nostre coscienze non vengono mai intaccate dal dubbio di poter assomigliare agli stronzi rappresentati sullo schermo. In questo senso, il film è pericoloso: ci induce a pensare di essere migliori di quanto non siamo.

Cosa ancora più grave, è che il film risulta di una piattezza imbarazzante a livello registico, fotografico e, soprattutto, di scrittura. Cazzo, è mai possibile che il biopic di uno sceneggiatore pecchi, in primo luogo, proprio nella qualità dei dialoghi, nelle trovate di sceneggiatura, nella costruzione dei personaggi?

Ogni figura sullo schermo è una caricatura monodimensionale. Quasi archetipica: c’è il vigliacco, il coraggioso, l’arrabbiato, il cinico, lo stupido, l'opportunista e l’arrivista. Possibile che non ci sia almeno un personaggio che si possa descrivere con più di un unico aggettivo? E non è certo colpa degli attori, visto che Bryan Cranston sa il fatto suo, avendo in curriculum uno dei personaggi più sfaccettati, ambigui, contraddittori,profondi e drammaticamente intensi del secondo millennio. Il problema è che Trumbo è un’icona, non un uomo, così come lo sono i suoi compagni e i suoi persecutori. E i film iconici, quando vogliono farsi politici, sono quanto di meno interessante io riesca ad immaginare.


La storia, poi, viene raccontata con una linearità imbarazzante, procede col pilota automatico e non sorprende veramente mai. Per carità, non è mica sempre necessario smontare una sceneggiatura come faceva “Pulp Fiction”, ma se la tua storia ha per protagonista uno dei più brillanti sceneggiatori di sempre, un piccolo sforzo in più potevi anche impegnarti a farlo…

Il film è verbosissimo, parlatissimo, ma i dialoghi sono sempre poco interessanti; i personaggi si esprimono a pamphlet e dialogano per aforismi; le battute servono più a sottolineare le posizioni ideologiche dei vari personaggi, piuttosto che a svelarne l’intima natura, la complessità del sentire e le umane contraddizioni. Non sono tra quelli che hanno adorato “Steve Jobs”, ma se volete capire cos’è un film scritto e sceneggiato coi controcoglioni, andate a recuperare l’ultimo lavoro di Sorkin, ne vale veramente la pena.

Infine, visto che il film si intitola “Trumbo”, e non “Joseph McCarthy” o “Commissione per le Attività Anti-Americane”, mi sarei quantomeno aspettato, oltre alla storia delle sue battaglie civili, qualcosa di più sul suo lavoro, sul suo stile, sul suo metodo. Voglio dire, Trumbo, negli anni dell’esilio forzato, ha lavorato a decine di script… praticamente tutta la fantascienza e la maggior parte dei b-movie prodotti durante il maccartismo era scritta da sceneggiatori geniali, banditi dal Sistema, che avevano dovuto reinventarsi sfruttando la maggior libertà del genere per affrontare tutti i temi politici e sociali a loro più cari e vietati dalla censura: la paura del diverso, l’omologazione forzata, i poteri coercitivi dei mass media, le influenze delle nuove tecnologie, lo sfruttamento dei poveri… ma quanto sarebbe stato bello se il film ci avesse raccontato Trumbo e gli altri compari della lista nera solo, o quantomeno anche, attraverso i loro script e i loro film… ad un certo punto, effettivamente, Roach ci prova (mi riferisco al momento della stesura della sceneggiatura di “Spartacus”), ma solo perché il metaforone dell’uomo che da solo combatte e sconfigge la schiavitù dell’impero romano era troppo appetitosa per lasciarcela sfuggire. Ma, anche in quel caso, lo fa in modo talmente grossolano e sfacciato, che perde ogni appeal. Mancavano solo le didascalie.

Gli attori sono tutti in palla e John Goodman regala pure una perla di rara comicità, che forse è l'unica vera trovata geniale del film. Ma è un acuto che resta isolato e completamente avulso dal resto della pellicola.

Alla fine, "Trumbo" si risolve in un modesto compitino che nulla aggiunge a quello che ormai sanno anche i sassi, uscendo peraltro quando è ormai passato troppo tempo perché possa veramente far male a qualcuno. D’altronde, per quale motivo lo stesso sistema produttivo che fu complice dell’ingiusta persecuzione di Trumbo dovrebbe oggi farci un film sopra? Forse perché ci si possono fare due soldi e, magari, portare a casa anche un Oscar…? A pensar male si fa peccato, ma spesso ci s’azzecca!

E vissero tutti felici e contenti. That’s America, baby!



GIUDIZIO SINTETICO: didascalico biopic girato con lineare sufficienza e scritto senza mai un guizzo di originalità. Buone prove attoriali, ma con tutti gli interpreti fortemente limitati da personaggi piatti come la Pianura Padana. Tutta la forza del film è nella storia di Trumbo. Ma lui, sicuramente, non l’avrebbe scritta così.


VOTO: 5











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