08/01/13

TO THE WONDER (di Terrence Malick):




Un bolso Ben Affleck si innamora in terra francese della bella Kurylenko; i due si trasferiscono in America, amoreggiano per un po’ e poi si lasciano; lui, allora, si invaghisce della bionda McAdams; amoreggiano a loro volta per poi separarsi. Infine si rimette con la Kurylenko, la sposa, ma le cose non migliorano. Nel frattempo, il pretino Bardem smarrisce la fede per il troppo dolore che lo circonda.

Ovviamente, sarebbe assai ingiusto giudicare un film, soprattutto di un autore di culto come Malick, per la banalità della trama… ma questo è quel che racconta e di questo, in qualche modo, deve rendere conto!

Malick ancora una volta (v. “Tree of Life”) si interroga sull’amore terreno e quello divino (il primo definito come l’acqua di un ruscello che si secca; l’altro, come la fonte che sgorga dal terreno) sembrando continuare a prediligere il secondo.

Sceglie consapevolmente di non raccontare la genesi dell’innamoramento né le cause del suo fallimento… evita tutti gli snodi narrativi e drammaturgici e si concentra invece sul tentativo estremo di raccontare, per sole immagini, la meravigliosa complessità dei sentimenti umani…

La scommessa è sicuramente coraggiosa ed interessante, ma assai pericolosa e, nel caso di specie, del tutto persa.

To the wonder” risulta un film manierista e autocitazionista; Malick ricorre ad un flusso di coscienza assolutamente stucchevole, gratuito ed irritante per rivelarci la somma Verità: l’amore viene, l’amore va… perché? Chissà?

Ribadisco: ognuno ha il diritto di raccontare quello che vuole come lo vuole, ma da colui che è considerato (giustamente o meno) uno dei più grandi e capaci registi viventi si pretende qualcosa di più che un susseguirsi di banalità e luoghi comuni (i dialoghi sembrano gli scarti dei libri di Moccia).

Per ¾ del film la Kurylenko salta, balla e piroetta come una demente (ah, quanto è bello l’amore che ci fa comportare come ragazzini), poi si imbroncia e si spalma sulle pareti (ah, quanto soffriamo per amore), poi finalmente si calma e se ne sta zitta (ah, l’amore è finito)…


Affleck è puro elemento scenografico (qualcuno l’ha definito “espressivo come un termosifone"), ma difficilmente poteva rendere diversamente un personaggio che pare tagliato con l’accetta.

La seconda storia d’amore risulta assolutamente superflua essendo in tutto e per tutto la replica della prima (se non con qualche piroetta in meno).

La Mondello è semplicemente imbarazzante per quello che dice (colpa non sua) e per come lo dice, vittima anche di una scena del tutto inutile che sembra buttata lì assolutamente a caso.

Il tema del film, si diceva, parrebbe il confronto tra l’amore terreno e quello divino… entrambi meravigliosi ed inesplicabili… le cui radici e le cui cause costituiscono – ahinoi – il mistero e la bellezza dell’esistenza.
Fino a qui tutto bene (direbbe Kassoviz), ma lo stupore e la meraviglia stridono assai con le scelte del regista: controluce a badilate; location degne degli spot del Mulino Bianco o della Mercedes; voci fuori campo che sussurrano verità da Baci Perugina; tartarughe di mare e campi di grano… mancano solo i lucchetti sui ponti alla Moccia (è la seconda volta che lo cito nell'ambito della stessa recensione: questo dovrebbe costituire elemento ancor più significativo del voto finale per evidenziare il mio sommo rammarico!).


Naturalmente, i movimenti di camera rimangono tra i più arditi e belli di sempre, ma lo stile – per non diventare pura maniera ed autocompiacimento – deve avere un senso rispetto a ciò che viene raccontato: “l’amore è bello perché è litigarello” rimane una cazzata anche se è in rima…

GIUDIZIO SINTETICO: Sconclusionato, melenso, autoreferenziale e banale...bocciato su tutta la linea!

VOTO: 5 - - -












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