11/04/13

COME UN TUONO (di Derek Cianfrance)




Ha proprio ragione Nanni Morettiio mi troverò sempre a mio agio e d’accordo con una minoranza di persone.

Come spiegare, altrimenti, il fatto che “The place beyond the pines” (in italiano “Come un tuono”) proprio non mi sia piaciuto per niente.
Eppure, girellando per la rete ho letto apprezzamenti quasi unanimi; alcuni tendenti all'entusiastico.
Nelle recensioni si offrono chiavi di lettura di stampo antropologico, sociale e/o politico-filosofico.
C'è stato addirittura chi si è preso la briga di scomodare la tragedia greca (la traggggggggedia greca!!!).

La responsabilità, naturalmente, è tutta di “Drive”, colpevole di essere talmente un capolavoro da condizionare inevitabilmente non solo le produzioni cinematografiche dei prossimi dieci anni, ma anche i giudizi su tali produzioni.
Un po’ come successe ai tempi di “Pulp Fiction” con la differenza che i dialoghi di Tarantino li sapeva scrivere solo lui e tutti quegli altri che ci provavano tiravano fuori delle porcate con gangster in cravattino e parlantina che anche un deficiente capiva che erano delle solo delle porcate.
Per cui era più facile smascherarle.  
Il film di Refn, invece, è praticamente muto per cui qualcuno si deve esser detto ecchè cce vò… in fondo basta prendere il Gosling, vestirlo strano, riprenderlo di spalle con musiche evocative mentre si muove silenzioso dentro una storia di violenza e d’amore… e il gioco è fatto… però, questa volta, facciamo che guida una moto, se no ci sgamano subito che stiamo rifacendo "Drive" pari pari… Ecco, immagino che più o meno la faccenda si sia risolta in questi termini.

Dunque, per i più distratti e per i pochi che ancora non lo conoscono, ecco cosa occorre per realizzare il perfetto plagio di “Drive”: 1) ci vuole uno con la faccia d’angelo di Ryan Gosling, che però poi risulti credibile quando ti sfascia il cranio a calcagnate mentre sta limonando una in ascensore (celo! c'ho proprio il Gosling in persona e pure con gli scarabocchi in faccia); 2) occorre un ottimo supporting cast (celo! e poi c’ho la Mendes che è molto più zozza e cafona della Mulligan); 3) ci vogliono musichette elettroniche ed evocative (celo! c’ho addirittura Mike Patton); 4) ci vuole che lui è una gran cartola alla guida (cèlo! fa lo stuntman per il circo dentro il "globo della morte"); 5) serve una storia d’amore struggente (celo! ciò pure il pupo…); 6) ci vuole la violenza (celo! c’ho le rapine in banca, la pula che uccide a sangue freddo e pure i gggiovani che si fanno gli spini e si picchiano duro); 7) a dirigere il tutto ci vuole Nicolas Widing Refn (cazzo, manca!!! Va beh, al suo posto ci mettiamo il Cianfrance che gli piace fare l’indie e c’ha anche lui il nome strano che fa tanto Autore da Festival).



E invece no! di Refn (come di Tarantino), ne nasce uno ogni trent’anni e sono d’accordo che vada studiato, imparato a memoria e proiettato nei licei al posto dell’ora di religione, ma chiunque si azzardi anche solo a pensare di poterlo facilmente plagiare commette peccato di ubris per il quale dovrà scontare i più orrendi supplizi e subire i più infausti fallimenti.

The place beyond the pines”, checché ne dicano tutti, è un film mediocrissimo, con una storia mediocrissima, lungo eterno come la messa cantata e privo di ogni benché minimo pathos (altro che traggggggggedia greca).

Ok, il film c’ha indubbiamente un cast della madonna: oltre ai citati Gosling e la Mendes ci sono anche Bradley Cooper (un po' fuori ruolo), Rose Byrne, Ray Liotta, Ben Mendelsohn e Dane Dehaan, quello di “Chronicle”, che è veramente un fenomeno e, salvo imprevedibili sfighe, può diventare uno dei migliori attori della prossima generazione (l'ho detta!!!).
La colonna sonora, inoltre, non è affatto malaccio essendo curata, come detto, da quel gran genio di Mike Patton.

La regia predilige lunghi piani sequenza; la macchina da presa, spesso usata a spalla, insegue i personaggi, li pedina e si avvicina di soppiatto alle loro vite; la fotografia ricorre spesso alla luce naturale. C’è la volontà evidente e manifesta di ancorare gli accadimenti alla realtà.

La storia è la solita storia di famiglie disgregate, di periferie disperate, di sogni distrutti, di padri che agiscono per il presunto bene di figli che non comprendono e di figli che pagano per colpe che non gli spettano.

 
Il problema però non è la storia...  è come questa si sviluppa e come viene raccontata.

Se non amate gli SPOILER saltate direttamente alla fine del paragrafo, ma non posso non raccontare per filo e per segno la trama di 'sto film che il buon Cianfrance impiega addirittura due ore e mezza a mettere in piedi.
Devo farlo perché, letta tutta d’un fiato, essa possa smascherare "Come un tuono" per quello che veramente è: l’ennesimo, mediocrissimo, film americano senza un capo né una coda, che però ha l’etichetta di indipendente e, quindi, gli si deve perdonare tutto, anche di essere sconclusionato, prevedibile e, alla fin fine, abbastanza banale. E, invece, no! È ora di finirla coi filmetti che solo perchè girati con la macchina da presa tremolante e incentrati sui soliti quattro stereotipi, si sentono legittimati a spiegarmi il senso della vita ed a rivelarmi la "sconvolgente" verità che il mondo è un brutto posto… lo so già da me che il mondo è un brutto posto. Grazie lo stesso, mr. Cianfrance! Quanto al senso della vita, devo avere ancora da qualche parte le VHS di Bergman e dei Monty Python...
Nel film viene raccontata la storia di quattro personaggi lungo un arco temporale di una quindicina d’anni. Gosling è Luke, uno scavezzacollo pieno di tatuaggi che per vivere lavora in un circo: il suo numero consiste nel guidare una moto a manetta dentro una sfera metallica incrociandosi pericolosamente con altri due piloti. Un giorno scopre per caso di essere padre di un bambino e così, senza averlo deciso prima, molla tutto e stabilisce che vuole fare il babbo. Ma la mamma sta con un altro e poi non si campa d’aria, perciò si mette a fare rapine in banca assieme ad un complice strampalato e mezzo alcolizzato il quale, come tutti gli strampalati mezzo alcolizzati, ha indubbie capacità profetiche: “chi vive come un tuono, si schianta come un fulmine”; bang, detto fatto, tempo un quarto d’ora ed il nostro è bello che steso per mano dell’ambizioso agente Avery il quale, prima lo fredda, poi con gli amichetti sbirri gli rapina pure la fidanzata. Poi però gli prendono gli scrupoli di coscienza e denuncia gli amichetti assicurandosi una carriera come vice-procuratore. Stacco.
Passano quindici anni e i figli sono cresciuti. AJ, il figlio di Avery, è un mezzo disadattato sempre incazzato (anche se non si capisce bene perché, visto che la più grande sfiga della sua vita – a pare essere pieno di soldi – è quella di avere i genitori separati, che però non si prendono a sediate in testa e non si tirano i piatti, ma semplicemente hanno deciso di intraprendere strade diverse). AJ, dopo aver combinato l'ennesima stronzata, si trasferisce dal padre il quale è nel mezzo della campagna per farsi eleggere procuratore generale. Ovviamente, manco a dirlo, un minuto dopo il suo trasferimento AJ è già “papa e ciccia” con Jason il quale, come potete immaginare, si rivela proprio il figlio dell’uomo che il padre di AJ aveva ucciso quando faceva lo sbirro.
Il climax sembrerebbe portare a tragiche conseguenze, ma proprio sul più bello Avery, in ginocchio e con una pistola puntata in faccia, chiede scusa e si spreme una lacrimuccia… inspiegabilmente, Jason rinuncia a sparagli, si compra una moto e si mette in viaggio lasciandosi il mondo alle spalle. Titoli di coda e canzone d’atmosfera! Fine.


Ok! Ok! Ok! Sono il primo a sapere che non è certo la trama a contraddistinguere la validità di un film. Certo, però, che se fai un film di personaggi con tre storie legate assieme dal filo del fato (tuke, in greco), forse un po’ di impegno dovresti mettercelo nel disegnare un plot degno di questo nome.
Il problema è che queste tre storie (Luke, Avery, i loro due figli AJ e Jason) non solo non sono particolarmente originali ed interessanti, di per sè, ma vengono anche raccontate senza alcun pathos: la messa in scena, infatti, non offre mai uno scossone emotivo; tutto procede con una linearità a dir poco mortificante e attraverso trovate di sceneggiatura al limite del ridicolo (ad esempio: hai centoquarantaminuti a disposizione per costruire un modo plausibile di far incontrare AJ e Jason. Altrimenti, non hai più un film basato su tre storie. Quindi è abbastanza importante che i due ragazzi si incontrino. Come la risolviamo? Zitti tutti, ce l'ho! AJ, il primo giorno di scuola, in mezzo a mille studenti seduti in mensa, trova un unico posto libero, ed è proprio quello di fianco al figlio della vittima di suo padre. Ma chi ha scritto sta roba? Gli sceneggiatori di Boris?).
I tre episodi, tra l’altro, procedono uno di seguito all’altro. Nemmeno lo sforzo di un montaggio alternato. Tre mini film al prezzo di uno: la storia della vittima. La storia del carnefice. La storia dei loro figli. Scena finale in moto!

Ma Cianfrance si sente troppo un autore, per cui decide di rifarsi, per ogni episodio, ad un diverso genere cinematografico (il crime a tinte fosche, il thriller, il film sui teenager problematici). Il guaio è che due ore e mezza di 'sta sbobba sono troppe per la mia pazienza, ma troppo poche per contenere l'ambizione di tre storie diverse, tre generi cinematografici e tre letture della contemporaneità statunitense.
Tutto risulta affrettato, casuale, scontato, gratuito e/o insensato.
Succedono troppe cose, nessuna delle quale ci viene descritta e raccontata come si dovrebbe. Il cinema è fatto soprattutto di tempi e qui mi sembrano tutti scazzati. Le scelte dei personaggi maturano, cambiano, si evolvono senza alcuna logica apparente (ma non è questo il messaggio che il film sembrerebbe voler dare); si mettono in scena dei pesantissimi colpi di scena (morte, tradimenti, ripensamenti su scelte di vita) senza che la regia o il montaggio riescano mai a creare il giusto climax. Troppe lungaggini sul superfluo; troppo sbrigativo l'essenziale.

 
Qualcuno ha scritto che il film parla di colpe dei padri che ricadono sui figli; di inevitabilità di un destino avverso (ananke, in greco); di castigo e di fallimento. Sarà... ma non bastano dichiarazioni d'intenti e buone intenzioni. Nemmeno le migliori. Figuriamoci le furbate come questa: piani sequenza alla “Elephant”; personaggi alla “Drive”; echi di Dostoevskij e macchina in spalla… ma per piacere!!! Non pretendo capolavori, né originalità a tutti i costi, ma solo un po’ di sana umiltà e di legittima onestà intellettuale. Il plagio sarà anche il complimento più sincero, ma sa anche tanto di bieca furberia (specie quando fine a se stesso) e fastidiosa paraculaggine.

Che la periferia americana non il posto più idilliaco del mondo non lo scopriamo certo grazie a Cianfrance, così come è un pezzo che la polizia non è più solo “servire e proteggere” (forse non se ne è accorta solo la televisione italiana, ma non credo che Cianfrance abbia diretto il suo film come monito per le bieche produzioni Mediaset e Rai).
Quanto ai giovani, che abbiano le turbe e si facciano le canne è una scoperta appena meno interessante di quella dell’acqua calda.
C’era veramente bisogno di un altro film su rapinatori morti ammazzati, sui poliziotti corrotti, sui figli complessati e sulle famiglie disgregate? La verità è che c’è sempre posto per film con queste tematiche, solo che devi scriverli bene e girarli ancora meglio. Altrimenti lascia perdere (il cinema e non solo le tematiche) perché hai sbagliato mestiere.

Non ho ancora visto “Blue Valentine” (il film precedente di Cianfrance) nei confronti del quale, fino a ieri, nutrivo grandissime aspettative. Mi auguro che valga almeno la metà quello che dicono e che quindi “Come un tuono” costituisca solo uno sfortunato passo falso di un brillante regista.

Un ultimo pensiero: l'idea del "globo della morte" dentro cui sfreccia Luke, evidente metafora della gabbia dentro cui è imprigionata la sua (e la forse anche la nostra) misera vita di criceto, in un altro contesto sarebbe anche risultata interessante… qui, invece, sembra capitata più per caso che per volontà e non so nemmeno se il regista ci abbia veramente pensato al suo potenziale simbolico.
Sia come sia, mi sembra quantomeno eccessivo arrivare a scomodare addirittura Eschilo, Sofocle ed Euripide. 



GIUDIZIO SINTETICO: Film ambiziosissimo. Ma le tre storie risultano piatte, approssimate, scontate e già viste. Nessun sussulto; nessun patema; nessun colpo di scena. Nessun tratto distintivo a caratterizzare la regia. Grandissimo cast, ma assolutamente sprecato. Rimandato a settembre con gravi insufficienze.

VOTO: 5 - - -


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4 commenti:

  1. Uhm... non sono d'accordo, soprattutto sul giudizio a Cianfrance. Come in Blue Valentine anche qui il suo stile e la sua fotografia arricchiscono il film. Purtroppo a funzionare davvero bene è solo la prima parte grazie soprattutto a un immenso Gosling, poi ci si perde un po' e si viene soffocati da primi piani e situazioni angoscianti... Comunque un film che promuovo e etichettabile come autoriale.

    Ah, ti ho appena scoperto, complimenti per il blog!

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  2. Benvenuta Lisa,
    sono sempre lieto di confrontarmi con opinioni diverse dalla mia... sono d'accordo con te che Gosling sia immenso, ma non vedo uno "stile Cianfrance" quanto piuttosto una scopiazzatura poco sentita di tanto cinema (su tutti Gus Van Sant, l'ultimo Refn, Larry Clark e Korine). La buona volontà c'è tutta, ma i veri autori giocano un altro campionato... forse, con qualche ambizione in meno e un po' più di "pancia", avrebbe potuto tirarne fuori un buon prodotto di genere (motivo per cui la prima parte funziona più delle altre). Ciao e a presto!

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  3. Sei stato molto severo e hai un modo di scrivere molto "pane al pane" (e molto divertente anche), ma sono d'accordo con te nel complesso, film sopravvalutato.
    Prima volta che entro in questo blog, ma mi sa che ci tornerò.

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  4. #Martino422 Ciao Martino, benvenuto nel blog. Grazie per i complimenti e NO, non sono stato "molto severo"... il punto è che se decidi di fare un film chiaramente copiato ed ispirato a roba tosta e giusta e che è pure stata un successo di critica e di pubblico... allora devi dimostrare di averne almeno compreso lo spirito e la sostanza, non solo la forma. Se no è paraculaggine bella e buona e, a me, la paraculaggine fa incazzare... e molto.

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