08/07/14

THE RAID 2: BERANDAL (di Gareth Evans)


  
Nemmeno il ritorno del figliol prodigo o l’arrivo alla terra promessa è stato atteso in modo così spasmodico; forse, giusto la perdita della verginità… dopo mesi di aspettative e vane ricerche, finalmente sono riuscito a vedere il sequel del film action “più spettacolare del decennio”, film che comunque era stato analizzato, discusso, omaggiato, promosso e condannato già un anno prima che uscisse nelle sale. 

Di più. Il nostro amico Gareth non aveva ancora finito di girarlo, che già in giro per la rete c’era chi sussurrava che di “Redemption” ne esce uno al secolo e che, quindi, per i prossimi novant’anni, non restava che rassegnarsi.
Dopo l’uscita di un teaser trailer di soli 15 secondi c’era già chi gridava al miracolo; altri mettevano in guardia e preannunciavano delusioni cocenti e la fine del mondo; molti si sono limitati a scuotere il capo e a raccogliersi in preghiera; qualcuno è andato fuori di cotenna e si è messo a prendere a mazzate tutti i vitelli grassi che incontrava; i più si sono abbracciati fraternamente, con lo sguardo fisso e vacuo rivolto ad Est e con una sola speranza nel cuore: Berandal non ci tradire… 

Solo l’idea che un capolavoro assoluto come The Raid potesse avere un seguito (più grosso, con più attori, con più soldi e con quasi il doppio dei minuti) seminava panico da attesa, ansia da prestazione e terrore da delusa speranza.

Eppure, con la sicurezza e la sfrontatezza propria solo dei profeti e dei santi, il nostro affezionatissimo ce l’aveva non solo preannunciato, ma persino promesso: ce ne saranno addirittura TRE! ed il terzo è già in fase di allestimento, con quel poco capitale umano che è sopravvissuto ai primi due capitoli (che hanno decimato mezza Indonesia) e con l’aggiunta dell’ingrediente più speciale ed inatteso: voci impazzite giurano che, al fianco dell’immancabile Iko Uwais, potrebbe esserci nientepopodimeno che Tony Jaa…!!!

BUMM!!!!!!

Se non sapete di che cazzo parlo, correte a noleggiarvi tutta la filmografia di Moccia e leggete pure tutti i suoi cazzo di libri, mandateli giù a memoria e, solo dopo che avrete finito, fatevi assumere come comparse sottopagate nel prossimo The Raid 3. Perché ve lo meritate! Perché dovete soffrire molto! e male! Perché stiamo parlando dei due più grandi e prodigiosi e funambolici interpreti del genere degli ultimi dieci anni e – forse – di sempre.


Anche solo il pensare di poterli vedere dentro LO STESSO FILM, con la regia del ragazzone gallese ed il rispetto per la vita delle comparse che caratterizza la cinematografia indonesiana, mi crea una tale FOTTA che non riesco nemmeno a scrivere queste quattro minchiate sulla tastiera. Mi parte il tic da calcio rotante; il riflesso involontario da schiaffoni in faccia; sento le mie dita tendersi, in cerca di occhi da penetrare, in ossequio a quell’istinto instillatomi nei pomeriggi spensierati di molti anni fa, quando mi allenavo con il mio amico Naoto Date a Tana delle Tigri. 
Mentre ardo nella spasmodica attesa, mi mangio tutte le unghie e ripasso a memoria la mossa dei tre giorni di Raul…

È come se a 13 anni (per chi li ha avuti negli anni ’80 come il sottoscritto), qualcuno vi avesse appoggiato una mano sulla spalla e, con voce solenne e profonda, vi avesse confidato che un certo McTiernan stava pensando di girare un film scritto da Steven E. de Souza, interpretato da Stallone, Swarzy, Bruce Willis e Van Damme. Tutti insieme. Giovani e belli come divinità pagane. Guidati da un regista vero. Uno sceneggiatore vero. In un film vero. E non come ora, che sommando l'età dei protagonisti del terzo “Expandables” puoi coprire quasi un millennio di Storia e dove tutto sembra un selfie dei tuoi nonni in gita a Gardaland con gli amichetti della parrocchia…

Iko Uwais e Tony Jaa, in questo momento, sono la coppia potenzialmente più deflagrante della storia del cinema.
Il loro incontro suona più incredibile di quello tra Superman e Batman; Godzilla ed i JaegersMoana Pozzi e Cicciolina.
Con la regia di Gareth Evans, poi, si rischia veramente la fine del mondo. Altro che bromance e rimpatriate di vecchi arzilloni. Qui c’è aria di riscrittura delle regole della fisica. La meccanica quantistica applicata alle mazzate nella fazza.

Nulla sarà mai più come prima. Dopo.



Ma, bando alle ciance, com’è questo The raid 2: Berandal?
Vale le aspettative o mostra i limiti dell’operazione e presenta già i primi segni di stanchezza?

Ognuno, naturalmente, ha il diritto di pensarla come gli pare. Per quanto mi riguarda, il secondo capitolo della trilogia sulle mazzate è semplicemente meraviglioso. È qualcosa che vuoi condividere col tuo migliore amico, mangiando pizza e bevendo birra e fumando sigarette e dandoti dei cinque alti con il sorriso stampato sulla faccia e il terrore che Iko esca dallo schermo e te lo cancelli con una pedata. Chi pensava che Gareth Evans fosse tipo da sedersi sugli allori, vivere di rendita e ripetere una fortunata formula vincente, si sbagliava di grosso.

Gareth Evans passa dal concetto di picchiaduro bidimensionale a scorrimento orizzontale, che fu il primo film, al gioco di ruolo con la grafica figa e con le mazzate.

Se “Redemption” era pura adrenalina, totale assenza di trama e personaggi caratterizzati come quelli di un porno di bassa lega, Berandal, al contrario, mette in scena un impianto narrativo di tutto rispetto: trama, sotto-trama, disparati moventi, decine e decine di personaggi, colpi di scena e svolte drammaturgiche del tutto inattese.
Certo, vi sono stilizzazioni che sfociano quasi nel cartoonesco, ma siamo pur sempre dentro un film di genere girato in Indonesia da un gallese infuocato di silat… tuttavia, non si scade mai nel ridicolo ed alcuni personaggi – per quanto stereotipati – sono persino ben approfonditi e raccontati.
Il bello è che Evans, pur avendo le stesse origini di Ryan Giggs, racconta il tutto come lo farebbe un cinese o giapponese qualsiasi (massì, siamo dentro la rece di un film di mazzate, per cui le fregnacce sul rigore etnico-culturale lasciatele a casa e fatemi approssimare per grandi blocchi: ci sono gli ammmericani, che sono tutto patriottismo, retorica e sboroneria; gli europei, che sono più per il realismo e le menate esistenziali e poi ci sono gli asiatici, che fanno un cinema tutto loro e che fottesega se capisci la metà degli snodi narrativi e se il protagonista diventa una comparsa mentre il resto del film si concentra su un tizio che è apparso dal nulla e nessuno sa chi cazzo sia… alla fine riesci comunque a venirne a capo e farti un’idea complessiva del tutto). In Berandal, pertanto, la trama procede a scatti e salti improvvisi, poi rallenta di colpo, quindi riaccelera nel massimo e più totale menefreghismo per la comprensione del pubblico e la linearità degli eventi.
I personaggi appaiono dal nulla. Nessuno ti spiega chi cazzo siano e cosa cacchio significhi la loro presenza sullo schermo; tanto sai benissimo che quello che li attende è un'inevitabile e bruttissima morte.
Alla fine, quindi, capisci tutto quel che c’è da capire.


Per almeno un’ora non succede un cazzo o, meglio, succede quello che in un qualunque altro film americano potevi raccontare con una scena di raccordo veloce-veloce o con una semplice didascalia… poi, all’improvviso, quattro ribaltamenti di prospettiva e dieci nuovi personaggi (con altrettanti moventi) si palesano sullo schermo, in contemporanea, nel giro di due minuti!!!
Non so perché gli asiatici abbiano questo bisogno di riuscire a rendere incasinato quello che è banale e semplice quello che sembra impossibile da raccontare.

Berandal ha una trama che sembra la sagra dello stereotipo: due famiglie hanno il potere sulla città. Si odiano con tutto il cuore, ma, comunque, rispettano onorevolmente una tregua decennale che permette agli affari di prosperare. La vecchia guardia è fatta da uomini spietati, ma d’onore; le nuove generazioni, al solito, sono rammollite, avide e fanno solo del casino. Una nuova fazione cerca di spingere le due famiglie a tornare in guerra, per approfittare della confusione e prendere il potere. Un giovane sbirro, per mille ragioni, si infiltra in uno dei due clan, in cerca di prove e risposte. Finirà in mattanza.
Tutto scontato; semplice; lineare.
Eppure Gareth Evans ci mette oltre un’ora a raccontarti le vicende di un paio di personaggi. Per tutto il primo tempo, il film sembra una partita esclusiva tra Rama e Uco. Poi, di botto, compaiono personaggi a caso, tutto si complica, esplodono le sotto-trame e le linee narrative prendono direzioni assolutamente inaspettate. Tutto ciò, comunque, non suoni come un difetto. Gareth Evans gira da dio, solo che questa volta ha deciso di montare e raccontare nel modo più “orientale” che gli riusciva. Se non conoscessimo le origini anglosassoni del regista, giureremmo di stare assistendo ad un film di Kitano o di John Woo o di Takashi Miike sotto anfetamina: scontri generazionali; ambizioni giovanili; senso dell’onore; rispetto per le tradizioni; desiderio di vendetta; amicizia virile e spirito di sacrificio. E un botto di vecchia sana ultra-violenza.
"Berandal" è tanto avanti che è già un classico.
Se non si trattasse di gangster in completo che si sfracellano sui muri a pugni in faccia, si potrebbe addirittura scomodare il sommo Kurosawa.
Evans gira in stato di grazia; con calma; si prende tutto il tempo del mondo e si toglie pure lo sfizio di piazzare qua e là anche delle belle immagini, di fare del bel cinema, di lasciarsi prendere da una certa poetica à la Johnnie To.




Ma noi non siamo qui per il bel cinema e nemmeno per le belle immagini e, sicuramente, non siamo qui per stabilire se Gareth Evans sia o meno un nuovo Autore da Festival... queste menate lasciamole pure ai critici più segaioli… NOI siamo qui per le MAZZATE. Siam qui per le comparse che muoiono male; per le clavicole spezzate, i nasi rotti e le braccia amputate. Siamo qui per vedere gente buttata giù dalle scale, travolta da suv in corsa e schiacciata in malo modo contro pareti, spigoli, superfici aguzze e taglienti.
Niente fucili; niente pistole; niente esplosioni.
Nei film di Gaterh Evans ci si picchia selvaggiamente A MANI NUDE; eccezioni meritevoli sono taluni tipi di armi bianche: mazze da baseball, martelli, falcetti e macheti, tavoli, librerie, pallet, picconi, boccioni dell’acqua, spranghe e manici di scopa… 

Gareth Evans riesce a mostrare la bellezza che si cela dietro una faccia che deflagra per una mazzata sui denti come Kubrick ha saputo immortalare monoliti neri che galleggiano nello spazio profondo. Non ridete. Non esagero.


Gareth Evans è talmente cartola e si sente talmente padrone del mezzo che ad un certo punto, così, giusto per spezzare la monotonia del primo blocco narrativo (che – come dicevo – procede lento e scontato come la fila in autostrada per il mare il primo di agosto), mette in scena una royal rumble di centocinquanta persone che si menano come fabbri. La macchina da presa riprende una battaglia furente a mani nude nel cortile fangoso di un carcere indonesiano, con mazzate che volano e ossa che si frantumano e gente che muore male e comparse che non mangeranno mai più roba solida… e sebbene qualunque regista vivente avrebbe sgozzato il proprio primogenito con un coltellino da burro pur di chiudere un film con LA METÀ di una roba del genere, il nostro affezionatissimo si prende il lusso di piazzarla NEI PRIMI VENTI MINUTI di un film che dura DUE ORE E MEZZA!!! Così!!! Giusto per farci capire che aria tira e che aria tirerà quando i minuti saranno NOVANTA… e mancherà ancora UN’ORA al duello finale!!!






Il primo tempo intervalla blocchi di trama e qualche bella immagine a busserie a caso (bellissime, geniali, incredibili, ma troppo brevi, troppo distanti l’una dall’altra, troppo nuovelle cousine delle mazzate, mentre noi abbiamo appetiti da grande bouffe).

Poi, finalmente, Evans si ricorda di essere un genio e, ad un certo punto, comincia il secondo tempo.

E il secondo tempo, signori miei, è un susseguirsi ininterrotto di gente che si fa malissimo PER DAVVERO; per oltre un’ora assistiamo, increduli, a combattimenti selvaggi in vicoli bui, dentro vagoni della metro, dentro magazzini abbandonati e persino dentro l’abitacolo di un’auto in corsa. Il secondo tempo è fatto di denti che saltano, di braccia che si torcono in modo innaturale, di martelli che si piantano nelle carni e che lacerano muscoli, strappano nervi, rimuovono scalpi; di killer che uccidono con palle da baseball...

 e poi torna Mad Dog, che non è più Mad Dog perché è morto nel primo film, ma torna l’attore che interpretava Mad Dog e che ora invece interpreta un altro personaggio che è uguale a Mad Dog, ma con la barba, e che non ha un cazzo di senso a livello di trama, soprattutto per chi lo ha visto morire nel primo film e non può non riconoscerlo, ma che serve solo perché è protagonista di una sequenza strepitosa in cui, armato di machete, si fa largo tra una quindicina di sgherri, ammazzandoli uno ad uno, SENZA PIETA' e SENZA MAI USARE IL MACHETE!!!



Evans fa ogni cosa gli passi per la testa e la fa meglio di chiunque altro. Al mondo. Ad un certo punto c’è un inseguimento in macchina con gente che spara da tutte le parti, veicoli che saltano per aria, gente che viene letteralmente frombolata fuori dai finestrini e che si spiaccica in modo innaturale ed irreparabile… il tutto mentre Iko e quattro sgherri se le danno di santa ragione dentro l’abitacolo di una macchina, anch’essa in corsa, mentre per strada ci sono un botto di tizi su altre auto che gli sparano e un altro improbabile alleato che li tampona di quando in quando. E la figata è che la macchina da presa – non si sa come – non stacca mai e non perde un colpo. La visione è sempre chiara, pulita, perfetta. È Street Fighter che incontra Need for Speed. È bellissimo!!!
Evans sacrifica due o tre operatori a sequenza e almeno una dozzina di comparse a scena, ma cazzo… voi non avete idea di come renda sullo schermo!!!



A circa un'ora dalla fine scatta un countdown per cui ogni sequenza è più grandiosa, più violenta, più eccitante di quella precedente, che pure tu pensavi fosse la cosa più figa vista finora nella vita.
Per i pochi sfortunati che ancora non conoscono Gareth Evans, faccio presente che non si tratta di coreografie da segaioli che finiscono con un indice nel collo e l'avversario di turno che muore di raffreddore. No, qui si parla di mazzate vere, di gente che muore male, per davvero; di ossa che implodono dal di dentro e di giunture che si lacerano. Qui ci si fa male sul serio. Quando va bene...

Non scherzo. Le vette di realismo toccano vertici mai esplorati. Un conto sono i botti, le esplosioni, le robe che saltano per aria ed i palazzi che crollano. In questi casi, i computer e i soldi fanno la differenza.
Ma con le mazzate in fazza è tutto un altro paio di maniche. Se riesci a mostrare uno che viene frollato a colpi di mazza da baseball alla velocità della luce al punto da sentire TU male per LUI, o se riesci a mostrarmi un tizio che si becca una tale pedata in bocca da fare una capriola laterale di 360° senza nemmeno piegare le gambe per darsi la spinta... beh, ti giuro che sei una gran cartola.

La verità è che Evans se ne sbatte il cazzo dei diritti umani e dell'incolumità della sua troupe. E noi gli siamo grati per questo! 
Ogni scena riesce a superare i limiti dell'impensabile: risse nel cesso di una galera; sul vagone della metro; lungo corridoi angusti; dentro abitacoli di auto in corsa. Provate voi a coreografare una rissa in un gabinetto di due metri per uno ed essere spettacolari e realistici allo stesso tempo.

Vi posso giurare che ho contato almeno quattro o cinque morti certe. Nel senso che gli stuntmen non possono - in alcun modo - essere sopravvissuti all'impatto di qualunque cosa li abbia travolti.







Alla fine dei giochi, "Berandal" rimane un'esperienza estremamente appagante. A differenza del primo capitolo - che nella sua spartana semplicità era assolutamente perfetto - non è esente da imperfezioni. Ma qualche buco di sceneggiatura, qualche personaggio un po' appiccicato con lo scotch e qualche lungaggine nella messa in scena non incidono più di tanto sul valore complessivo di un'opera che - nel suo genere - è arte allo stato puro.

Menzione d'onore per Hammer Girl e Baseball Bat Man. Già nell'olimpo dei miei miti di sempre.



GIUDIZIO SINTETICO: Se pensate che il valore di un film action sia proporzionale al numero delle comparse morte male durante le riprese, Berandal è la vostra bibbia e Gareth Evans è il vostro dio. IM-PER-DI-BI-LE. 

VOTO: 8+













2 commenti:

  1. Io ero quello della pizza e dei cinque alti che ha guardato con il Grande Redattore questo ponte sullo stretto dei dardanelli che è Berandal.
    Vecchio Mondo e Asia che si incontrano a metà e intanto che si salutano amabilmente, si prendono a nunchakate sui denti.

    Ora, Redemption oggettivamente è stato uno dei più straordinari esperimenti di tutti i tempi. E non parlo di cinema, ma di vivisezione: perchè come dice il GR questi muoiono come i topi con le orecchie sulla schiena durante scene di una violenza così intensa, così geniale che solo la bellezza con cui sono girate può aiutare ad assorbirne l'impatto.

    Berandal invece è il risultato di questo esperimento. Ovvero: io sono lo scienziato, lo so già perchè muoiono, l'ho già visto nell'esperimento. Ma ne fotto alla grande e continuo ad ammazzarli perchè tutto il mondo ha apprezzato la mia ricerca e mi ritiene un genio. E cazzo, se ha ragione!
    E allora giù con i reagenti, giù con le evoluzioni genetiche, giù con genoma lanciati tipo shinobi.
    Tanto è il dato pubblicato su Science è uno ed incontrovertibile: Gareth Evans è Dio e le famiglie di tutte le comparse scomparse sul set devono solamente gioire che i loro cari siano dipartiti in quelle circostanze dorate!!!!

    Berandal è un film pazzesco.
    Anzi, Berandal è un secondo tempo pazzesco in cui lentamente vieni colto da un impercettibile prurito al basso ventre che si trasforma in convulsioni da orgasmo incontrollato in più fasi e in estasi sacrale quando l'apnea mantenuta per i dieci minuti dell'ultimo combattimento ti hanno già trasformato in un vegetale.
    Ma non conta: l'hai visto!

    Ero deluso dal primo tempo, mi stava annoiando: a parte una superfiga che crepa subito e qualche schiaffone danzerino, il poco e niente concesso dall'insieme delle espressività degli attori coinvolti. Il primo tempo è Manuela Arcuri.

    Ma poi parte il prurito e l'intero esercito della Amazzoni mitologiche e di tutte le figure femminili che hanno eccitato l'umanità ti entra nel cuore e lo fa esplodere in una gioia perversa, sadica, godereccia. Più legnate, più gusto, più morti, più piacere, più delirio... più delirio.

    Bello, bellissimo. Roba che urli e ti penti di non essere nato a Jakarta direttamente dalla coscia di Iko Uwais neanche fossi Dioniso.

    Per cui anche io alla fine gli do 8 il che significa che, visto che il primo tempo aveva preso "Carabinieri" come voto, il secondo ha preso un ottimo 16. E la media si conferma.

    Un solo consiglio alla Grande Audience che legge: trovatelo in lingua originale, è importante.
    Il doppiaggio in Inglese è in realtà un saggio dell'Accademia dei Logopedisti della periferia di Yankton, Nebraska.
    Tra l'altro della periferia.
    E tra l'altro ancora forse mancavano tutti gli iscritti visto che al massimo le voci sono due. E voi vi immaginate quanti asiatici ci siano in un film sugli asiatici...

    Comunque, sono solo contento che il tipo delle pizze sia arrivato all'inizio del primo tempo.
    Non so cosa avrei potuto fargli con il cartone a secondo tempo iniziato...

    Grazie GR della recensione: la mia l'ho appena scritta in spaccata sospesa appoggiato a due aghi accarezzando la testa di Van Damme.

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  2. Ho letto solo la parte introduttiva per non intaccare l'hype.
    Lo vedo venerdì, e già sto godendo ora.

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