04/04/13

BROKEN CITY (di Allen Hughes)




Peccato. Peccato perché gli ingredienti per un grande noir c’erano tutti: c’è un investigatore privato che è un ex poliziotto dal grilletto facile e in odor di fascismo col debole per le graziose fanciulle in difficoltà; c’è un sindaco bello marcio e sufficientemente corrotto; c’è una femme-fatale ambigua e cospiratrice; ci sono le elezioni e poi c’è New York, la città per antonomasia… eppure, manca quel quid capace di trasformare un thrillerone blockbuster qualunque in un capolavoro senza tempo.

L’occhio privato è quello di Mark Wahlberg che non è Laurence Olivier, ma ha il physique du rôle per interpretare Billy Taggart, ex sbirro che prima spara e poi pensa, ovviamente con i canonici problemi di alcool alle spalle e un passato che pesa come un macigno.

Russell Crowe, nonostante i duecentomila chili e un giro vita da far invidia a Bud Spencer, continua a dimostrarsi attore solido e capace. Del resto, è un pezzo che ha barattato i ruoli da sciupafemmine per una tripla porzione di lasagne e parti che lo vedono sempre più spesso interpretare lo stronzo antagonista… che comunque gli riesce benissimo.

Catherine Zeta-Jones, invece, per mettere su la faccia da stronza non ha nemmeno bisogno di impegnarsi (madre natura, in questo, è stata abbondantemente generosa) ed esegue il compitino con perizia e senza strafare.

Per Barry Pepper ho una insana passione e lo troverei credibile anche come spalla di Boldi in “Vacanze sul Brenta 2”.

Perché, allora, “Broken city” proprio non decolla? Il problema, principalmente, risiede in uno script piatto e scontato e in un regista che non riesce nemmeno ad essere l'imitazione di un buon mestierante. Il genere, non finirò mai di ripeterlo, non è per improvvisati. Non è un'avventuretta estiva che si consuma in una notte di passione. E' piuttosto un grande rapporto d'amore, tormentato ed esaltante, che pretende devozione incondizionata e grandissimo rispetto.
Se te la fai col genere, a meno che tu non sia un genio, hai tendenzialmente due opzioni: puoi lavorare sulla storia, sulla complessità dell’intreccio, sulla città avvolgente e corruttrice, sulla natura dell’animo umano che è buia come una notte senza fine… no, dico, hai presente James Ellroy???
Oppure puoi stare sul personaggio e costruirgli intorno una storiella del menga, tanto è solo lui che conta… siamo onesti: nessuno legge i romanzi di Chandler per la trama, ma Marlowe è talmente cartola che funzionerebbe anche al reparto ortaggi del supermercato ad odorare i meloni e scambiarsi ricette…


Poi, naturalmente, ci sono i geni: Tarantino, Kitano, Johnnie To, Cronenberg, Park Chan-wook, David Lynch... ognuno di loro, a suo modo, ha saputo miscelare gli ingredienti e, addirittura, inventare qualcosa di nuovo. Ma attenzione, non basta essere dei geni per reinventare il genere, prima di tutto, come dicevo, occorre conoscerlo nel profondo, amarlo senza compromessi e rispettarlo senza condizioni.
Certo, se poi sei David Lynch e sei capace di girare un capolavoro come “Mulholland drive” allora chapeau! ma non hai mica bisogno di inventarti nani ballerini, chiavi blu e personaggi schizofrenici per fare un buon noir... e, soprattutto, prova a farlo senza conoscerne a memora le basi! Hai presente quella mezza porcata di "Texas killing field"? e non c'erano nemmeno i nani e le scatole magiche...
Ripeto, basta gestire bene anche un solo ingrediente e puoi fare tanta bella roba lo stesso… il problema è che tutti si sentono in dovere di cambiare la Storia del Cinema e, invece di "limitarsi" a realizzare ottimi film concentrandosi sul personaggio (“L'uomo che non c'era”) o sulla storia (“Infernal Affairs”), decidono di avventurarsi su percorsi impervi e accidentati producendo, nella migliore delle ipotesi, delle mediocri imitazioni e, nella peggiore, delle ciofeche patinate (“Gangster squad”, tanto per capirci, riesce ad essere rappresentativo di entrambi i prototipi).

L’intreccio di “Broken city” è quanto di più piatto e lineare si sia visto negli ultimi anni: chiunque abbia visto più di due film nella vita capisce, fin dalla prima scena, che il passato di Taggart tornerà a bussare alla sua porta; che il sindaco Hostetler è un losco trafficone che cerca solo di usarlo; che i politici sono proprio dei gran cattivoni e che la corruzione è ovunque… bla bla bla!
La trama, insomma, è quella di una puntata di “Baretta” (ma senza la nota di colore del pappagallo Fred) e i colpi di scena sono talmente telefonati che vien quasi tenerezza. 

 
Ma chissenefrega della trama!!! Come detto, un gran film noir può basarsi anche solo su un cazzutissimo personaggio che regge sulle proprie possenti spalle tutto il peso del mondo. Quindi, ed il condizionale è più che mai d’obbligo, potrebbe essere che il buon Allen Hughes avesse in mente di iscrivere il proprio film alla gloriosa tradizione delle pellicole incentrate su grandi losers che fanno sempre la scelta sbagliata per le ragioni più giuste.
Potrebbe essere... peccato però che Allen Hughes non sia Orson Welles e nemmeno Nicolas Winding Refn e che la gestione introspettiva del personaggio di Billy Taggart sia appena meglio approfondita di quella di Jason Statham/Chev Chelios in "Crank" (che è un capolavoro, ma per ragioni che nulla hanno a che fare con quello di cui stiamo parlando)...

D'altro canto, a Mark Wahlberg, poverino, gli si vuole anche bene e da quando ha perso i bicipiti da He-man assomiglia anche ad un attore, ma Humphrey Bogart giocava decisamente in un altro campionato e se vuoi costruire un film su un Personaggio, è bene che scegli un interprete capace di dargli anima e corpo e non solo un bel faccino.
Davvero, non so se è Mark ad essere sfigato o se è solo questione che sceglie i copioni sbagliati. Insomma, stiamo parlando di uno che faceva il protagonsta di un film il cui cast ha vinto dozzine di premi internazionali e addirittura due Oscar per la recitazione, mentre lui non solo non ha vinto un cazzo, ma non è nemmeno entrato in nomination... stiamo parlando di uno che era in lista su uno dei voli dirottati dell'11 settembre e poi, all'ultimo momento, ha rinuciato per andare in Canada... per carità, felicissimo per lui, ma forse qualcuno gli sta dicendo di prendersela comoda per l'appunamento con la Storia.
Caro Mark, ascolta un amico, se il tuo personaggio non si chiama Marlowe, o Quinlan o non indossa giubbotti di pelle bianca con scorpione dorato sulla schiena… beh, non provarci neanche e lasa stèr…!

Certo, si poteva anche fare molto peggio, ma non è mai di estrema consolazione… 
Allen Hughes, insomma, non ha avuto le palle. E se fai il regista di genere avercele o meno conta quasi più di come sai muovere la macchina da presa. Hughes aveva un buon personaggio (almeno sulla carta) e una storia veramente mediocre: non devi essere Fritz Lang per capire su cosa concentrarti… magari Billy Taggart non avrà brillato per originalità, ma gli avrei concesso volentieri un paio d’ore della mia attenzione. Invece il personaggio rimane sempre lo stereotipo di se stesso. Regia e sceneggiatura non intaccano mai la superficie del primo strato di epidermide… non mostrano mai i demoni, ma si limitano ad evocarli. Un po’ come fare un film dell’orrore coi fantasmi, ma senza i fantasmi e con un botto di sedute spiritiche.

La regia è sempre piatta, poveramente patinata, distante.

Insomma: c’è poca violenza, c’è poco sesso, c’è poca devianza, c’è poco orrore, c’è poco sangue, c’è poca innocenza (da infangare), c’è poco realismo, c’è poca droga, c’è poco alcool... c’è addirittura POCO ALCOOL!!!


Ma dio santo: sono sette anni che non tocchi un goccio e la tua tipa (quella a cui hai vendicato la sorella rimettendoci carriera e reputazione) prima ti invita al cinema a vedere sul maxischermo la sua performance erotica col manzo di turno (che non sei tu) e poi ti porta ad una cena dove gli uomini che non ci provano con lei ci provano con te e, visto che ti scaldi un attimo (da bravo razzista e omofobo quale sei), lei ti lascia pure in malo modo dicendoti che le hai rovinato la vita e che sei un bruto e che sei un fascista e che devi sempre rovinare tutto e che questa è la sua serata… e allora tu, ex alcolizzato-omicida-con-gravissimi-problemi-di-violenza-alle-spalle, finalmente, ti attacchi alla bottiglia… ed è mai possibile che date le citate premesse tu non riesca nemmeno a prenderti una ciucca come dio comanda (visto che poche ore dopo sei perfettamente lucido sulla scena dell’omicidio di Kyle Chandler) e distruggere ogni cosa e persona ti capiti a tiro modello Godzilla in una vetreria? possibile che il giorno seguente alla non-sbronza, dopo aver scoperto di essere pure stato incastrato dal Sindaco, la cosa migliore che ti viene in mente di fare è quella di andare a fare una bella chiacchierata mielosa coi genitori della stronza che ti ha appena smollato…? Cioè, vai a fare una rimpatriata con i suoceri invece di vomitarti addosso la bile tracannando liquido per accendini e nutrendoti delle budella dei tuoi nemici? Davvero???

Giocare col noir significa giocare col fuoco: con la differenza che non bisogna avere paura di scottarsi i polpastrelli e che bisogna avere il coraggio di ustionarvisi ben bene. Implica affrontare demoni, paure e mostri. Comporta turbare le coscienze, sprofondare negli abissi ed entrare in corsia preferenziale dentro la parte più tenebrosa dell’animo umano. Per uscirne, immancabilmente, distrutti. Con buona pace dei più sensibili e dei deboli di stomaco.

In ogni caso, non basta una trama che è lo spoiler di se stessa e un doppio whisky come massimo momento di sballo. Peccato, veramente.



GIUDIZIO SINTETICO: Ennesimo noir/thriller senza anima e col filtro. Buono per una seconda visione in un cinema parrocchiale.

VOTO: 5 -

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