“The Jinx” è, semplicemente, la migliore serie che vedrete quest’anno
e, probabilmente, anche uno dei prodotti più intelligenti, disturbanti e
conturbanti che abbiate mai visto in vita vostra. Perché? Beh, innanzitutto perché è una
produzione HBO, il network che, da almeno vent'anni, si contraddistingue per innovazione linguistica, temi cazzuti e linguaggio ben poco edulcorato.
Secondo, perché la serie co-prodotta, scritta e diretta da Andrew Jareki è talmente avanti che era
difficile anche solo provare ad immaginarla... figuriamoci a realizzarla.
"The Jinx", infatti, non solo è stata
capace di rivitalizzare un genere (il documentario), trasformandolo da prodotto di nicchia a blockbuster appassionante, ma lo ha fatto rivoluzionandone i codici espressivi, senza tuttavia tradirne in alcun modo lo spirito. Non è esagerato affermare che l'ultima produzione HBO si ponga come apripista a
un nuovo modo di intendere il crime e concepire l’intrattenimento televisivo. “The Jinx”, infatti, è riuscita ad intercettare la fascinazione collettiva per il
torbido, la passione per le storiacce di cronaca nera, la morbosa curiosità per
i delitti celebri (specie se irrisolti) e convogliarle in un prodotto che, pur ricorrendo alla grammatica giornalistica e cronachistica, fosse fortemente ispirato ai codici emotivi
e strutturali del crime, del thriller e del procedural.
“The Jinx”, infatti, è una serie che parla come un documentario, mette in scena la
vicenda come una fiction, indaga come uno sbirro e, per giunta, riflette sul vocabolario
dei media, sul loro ruolo e sui loro effetti come nei migliori trattati di
semiotica e di filosofia del linguaggio. Il tutto, analizzando meticolosamente un
caso di triplice omicidio sul quale, per 30 anni, si son impantanati detective
e agenti federali degli Stati Uniti.
I fatti di cronaca nera alla base di "The Jinx", per oltre un quarto di
secolo, hanno dominato la scena mediatica americana, perché, oltre ad avere tutte le caratteristiche del giallo,
del macabro e della violenza più efferata, coinvolgevano in prima persona l’erede di una delle dinastie di costruttori più
ricche e famose di New York: tale Robert Durst.
Conseguentemente, gli ingredienti per rendere il caso Durst un vero e proprio culto per gli appassionati del torbido e del mistero c’erano proprio tutti. In Italia, magari, chi sia Robert Durst non lo sa quasi nessuno, ma in America,
soprattutto ai tempi, il suo nome e quello della sua famiglia era sulla bocca
di tutti. Giusto per rendere l’idea, è come se Gianni Agnelli, negli anni ’80,
fosse stato accusato di essere il Mostro di Firenze!!!
Andrew Jarecki e il suo staff, per
la verità, già in passato si erano appassionati alla vicenda e, nel 2010, avevano realizzato addirittura un film, “Love & Secrets”,
con Kirsten Dunst e Ryan Gosling. Il film, però, non se lo era cagato quasi nessuno.
Il quasi, in questo caso, fa però tutta la differenza del mondo, dal momento che la pellicola suscitò, in effetti, l’attenzione del più importante
degli spettatori: Bob Durst in persona, il quale, dopo aver assistito alla proiezione,
decise sua sponte di contattare il regista per poter dare, per la prima volta
in 30 anni, la sua personale versione dei fatti che stavano alla base delle
accuse che lo avevano perseguitato per tutta la vita.
Così, il buon Durst si mette a nudo davanti alle telecamere e comincia a ricostruire, assieme alla troupe, tutti i passaggi degli omicidi che lo hanno visto indagato tra i principali sospetti.
Ne esce un prodotto mai visto prima: materiali d’archivio e ricostruzioni di fiction che si alternano ad una lunghissima intervista in cui Durst riflette sul processo mediatico di cui è stato oggetto, sulla infondatezza delle accuse che gli sono state rivolte e si presenta al mondo come un eccentrico, ma tutto sommato innocuo, agnello sacrificale. Ovviamente, c’è molto di più. Perché ci sono anche le opinioni dei giurati, dei giudici, dei poliziotti, dei parenti delle vittime. Ogni omicidio viene analizzato, ricostruito e indagato come in una meticolosa e spettacolare indagine poliziesca. E Durst è sempre in prima linea a fornire ogni dettaglio, a rispondere ad ogni domanda e a sostenere, con la propria faccia e il proprio corpo, il peso di una detection che sarebbe stata insostenibile per chiunque. L’intervista di Durst, nel corso delle varie puntate, diventa sfogo, confessione, pantomima, show, interrogatorio e farsa.
Il risultato è qualcosa d’inimmaginabile
e di mai visto prima: innanzitutto perché, pur essendo un documentario e rispettandone
tutti i crismi, lo spettatore e il regista stanno quasi sempre sullo stesso
piano: entrambi condividono gli stessi dubbi e, fino all’ultimo, non hanno la più pallida idea di quale sarà
la verità, né se ne emergerà mai una. Inoltre, il ritratto che Durst offre di
se stesso è qualcosa che rasenta l’incredibile: con i suoi mille tic, le sue
facce stranite, il suo look da chi è rimasto indietro di qualche decennio con
le logiche del glamour, i suoi tremendi lutti familiari, i conflitti edipici,
le plurime accuse, le invidie, la sessualità deviata e le sfighe immani, costruisce
una figura al limite del grottesco, con la quale, nonostante tutto, lo
spettatore finisce per empatizzare. "The Jinx" diventa quindi una sorta di “Sympathy for the Devil”, che, fino
all’ultimo, si diverte a giocare con la morale del pubblico e del regista: ma Bob è innocente o è colpevole? Ci fa o ci
è? Ha solo una gran sfiga o è il male impersonificato?
E, pian pianino, si insinuano come un tarlo nella testa dello spettatore pensieri tremendi: può essere colpevole, ma gli vogliamo anche un po’ di bene. Può essere innocente, ma con tutti i suoi miliardi meglio a lui che a noi…
Ma soprattutto: noi che guardiamo, crediamo alla sua versione dei fatti? E qual è la verità quando tutti hanno una loro personale versione delle cose già cristallizzata e predefinita? Può la verità emergere da un processo giudiziario? da un documentario giornalistico? dalle accuse dei parenti delle vittime? dalle indagini della polizia? dai giuramenti dell’accusato? Ed ogni puntata, spietatamente, racconta una diversa Verità, che si confonde e si sovrappone a tutte le altre: quella degli inquirenti, quella dei giornalisti, quella degli atti giudiziari e quella dei parenti delle vittime. Oltre, naturalmente, a quella di Durst.
E, pian pianino, si insinuano come un tarlo nella testa dello spettatore pensieri tremendi: può essere colpevole, ma gli vogliamo anche un po’ di bene. Può essere innocente, ma con tutti i suoi miliardi meglio a lui che a noi…
Ma soprattutto: noi che guardiamo, crediamo alla sua versione dei fatti? E qual è la verità quando tutti hanno una loro personale versione delle cose già cristallizzata e predefinita? Può la verità emergere da un processo giudiziario? da un documentario giornalistico? dalle accuse dei parenti delle vittime? dalle indagini della polizia? dai giuramenti dell’accusato? Ed ogni puntata, spietatamente, racconta una diversa Verità, che si confonde e si sovrappone a tutte le altre: quella degli inquirenti, quella dei giornalisti, quella degli atti giudiziari e quella dei parenti delle vittime. Oltre, naturalmente, a quella di Durst.
Con rispetto parlando, altro
che le pugnette pseudo-filosofiche e intelletualoidi recitate dagli sbirri di “True Detective” tra una birra sgasata e una paglia rabbiosa (che pure sono tantissima roba!): qui siamo di fronte alla VITA VERA,
con un megalomane milionario che grida al “gomblotto” mentre narcisisticamente
si mette a nudo davanti alle telecamere per recitare l’apologia di se stesso,
in un’intervista detection che, nel corso delle puntate, spazia tra il legal
thriller, il crime movie e l’horror più efferato.
Ogni episodio affronta un
tema preciso di quella che è stata la vicenda Durst: le indagini, il processo,
l’eco mediatica, i giudizi degli inquirenti e le opinioni delle persone
coinvolte. Quello di cui ci si rende conto, nel procedere dello show, è come sia quasi
impossibile, in vicende come questa, riuscire a conservare il giusto equilibrio;
a mantenere l’equidistanza necessaria per poter analizzare le cose per quello
che sono e non per quello che sembrano. La forza di “The Jinx” e la maestria di Jareki
risiedono proprio nella straordinaria e mirabile capacità di non cadere mai
nella tentazione del facile sensazionalismo e della più becera emotività; col senno di
poi, buoni tutti, ma sfido chiunque a raccontare una storia come questa senza
sbattere il mostro in copertina o speculare sul vittimismo da quattro soldi. Puntare
il dito e dipingere Durst come un maniaco assetato di sangue, enfatizzando solo
i suoi lati più oscuri, sarebbe stato molto proficuo in termini di presa sul
pubblico. Sempre morbosamente attratto dai dettagli più infimi e sempre appagato di fronte alla rovinosa caduta degli dei.
Così come sarebbe stato semplice eleggerlo a povera vittima del sistema, ingiustamente perseguitato
solo perché famoso. Aspettare invece che la Verità emergesse dai fatti ha
impiegato 10 anni di duro lavoro. Ma ne è valsa, cazzo, la pena.
10 anni di ricerche,
un’infinità di ore di girato, materiali d’archivio sterminati e la
preziosissima intervista-verità di Robert Durst. Alla fine, come nei migliori
gialli, il caso viene risolto e Jareki riesce a fare quello che trent’anni di
processi e indagini non erano riusciti a fare: scoprire il vero assassino di
ognuno dei tre omicidi. Credo che sia la prima volta che una serie televisiva
risolve un triplice caso di omicidio. Pensate che l’F.B.I. ha potuto ottenere
il mandato di cattura e procedere all’arresto del vero responsabile dei delitti solo grazie ai filmati dell’ultima puntata dello show, che le sono stati messi a
disposizione dalla produzione pochi giorni prima della regolare messa in onda.
“The Jinx”, probabilmente, resterà un unicum irripetibile. Faccio molta
fatica non solo ad immaginare un altro caso del genere, ma anche a pensare che
esista, da qualche parte, un altro Robert Durst: un autentico mattatore della
scena, capace di catalizzare l’attenzione e inchiodare l’emotività dello
spettatore come carta moschicida. Già, perché senza di lui e senza la sua
straordinaria presenza scenica, la serie sarebbe stata tutta un’altra cosa.
Ci sono dei momenti in cui ci
si dimentica che quello sullo schermo non è un attore e ci si lascia rapire
dalle incredibili capacità interpretative di Durst, che, a mio avviso, avrebbe
meritato il Golden Globe per una prestazione che, letteralmente, mangia
comodamente in testa a tutti i candidati di quest’anno. In ogni caso, il successo di pubblico di critica sta già facendo proseliti (pensate al recentissimo "Making a Murderer" e a "The People vs. O.J. Simpson: America Crime Story"). Naturalmente, potrebbe essere solo una moda passeggera destinata a sgonfiarsi in pochi mesi; ma potrebbe essere anche una svolta epocale nella storia della televisione di intrattenimento. Sia come sia, noi vi abbiamo avvisato...
GIUDIZIO SINTETICO: Proprio quando pensavate che
le serie televisive ormai non avessero più niente da offrire in termini di
innovazione e coraggio produttivo, ecco che spunta questo capolavoro a
riscrivere le regole del genere e dell’intrattenimento. Agghiacciante,
disturbante e morbosamente affascinante. STREPITOSO!
VOTO: 9
P.S:
"The Jinx" costituisce il terzo imperdibile appuntamento di "Festivi & Seriali - Rassegne di voracità televisiva", il primo Festival italiano dedicato al binge watching. La rassegna è organizzata da "Serial K - Le serie TV in Radio", l'unica trasmissione radiofonica italiana dedicata al mondo delle serie tv. La trasmissione è curata da Tommaso Gavioli, Giulio Muratori, Dodi Germano, Eugenia Fattori e, naturalmente, dal sottoscritto vostro affezionatissimo e va in onda sulle frequenze di Radio Città del Capo (94.700 e 96.325 MHz) ogni lunedì dalle 20:30 alle 21:30.
"The Jinx", dunque, verrà proiettata per intero, in lingua originale con sottotitoli in italiano, domenica 14 febbraio, alle ore 14, presso il Loft di Kinodromo.
Invece di andare a limonare duro sulle panchine dei giardini come dei regazzini, che ormai avete una certa età, portate la morosa a vedere una delle più belle serie dell'anno. Venite in pigiama, coi cuscini, con la coperta di flanella e pure coi materassini... noi ci mettiamo la birra e vari generi di conforto. Se non avete la morosa, forse è perché non frequentate i posti giusti, come il Loft di Kinodromo il giorno di S. Valentino.
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