12/12/12

OUTRAGE BEYOND (di Takeshi Kitano):

Film ingarbugliatissimo scandito da intrighi, tradimenti e vendette: va di scena l’ennesima guerra tra clan mafiosi giapponesi.

Kitano (ri)veste i panni di Otomo, yakuza ormai vecchio e creduto morto. Invece è vivo e (più o meno) vegeto e giace da lungo tempo in galera scontando i delitti commessi nel film precedente (“Outrage”). Il macchiavellico e corrotto detective Kataoka deciderà di rimetterlo in pista al fine di creare zizzania all’interno del clan Sanno, diventato troppo potente, sfruttando anche le mire espansionistiche degli Hanabishi di Osaka: alla fine sarà mattanza!

Kitano sembra aver definitivamente abdicato al ruolo di Autore per dedicarsi a tempo pieno al puro intrattenimento fracassone; il regista di culto, capace di riscrivere completamente la sintassi e la grammatica del cinema action e di reinventarsi e dare nuova linfa allo yakuza eiga, pare avviato ad un nuovo capitolo della sua personalissima carriera: prima cantore poetico ed esistenziale dell’epica gangsta (“Violent Cop” ”Boiling Point” “Sonatine” ”Hana-bi” “L’Estate di Kukujiro”), poi sperimentatore immolato al proprio suicidio artistico (“Achille e la tartaruga” “Glory to the Filmmaker!” “Takeshis'”), infine puro giocoliere fanfarone.
La sua riflessione poetico-filosofica-esistenziale-artistica sembra giunta al termine ed ora, come in preda alla più classica delle crisi di mezza età, il Nostro vuole semplicemente divertirsi e godersela.


Outrage beyond”, dunque, è un film “classico” e tradizionale, nel senso che si inserisce perfettamente dentro il genere che proprio Kitano, agli inizi degli anni ’90, era stato in grado di disintegrare e rinnovare: conseguentemente, dentro il film troviamo tutti i tòpoi del cinema yakuza: la solita trama disordinata e complessa, un bel po’ di sana ultraviolenza (anche se sotto media), personaggi esclusivamente maschili e del tutto stereotipati utilizzati in chiave simbolica o come semplici maschere (il giovane rampante, il vecchio legato al passato, il politico intrallazzone, il furbo, il pianificatore, l’ingenuo, il corrotto…).

All’interno del divertissement non mancano, seppure appena accennati, interessanti spunti di riflessione: l’avvicendamento della nuova generazione di yakuza ha segnato il tramonto dei valori tradizionali; i vecchi capi sono stati messi in naftalina e sostituiti da yuppies senza scrupoli che improntano il clan a logiche aziendali; l’onore è stato sostituito dal profitto; l’intrigo ed il sotterfugio sono i più efficaci strumenti di lotta (mentre un tempo ci si sfidava a colpi di katana o, quantomeno, ci si sparava in faccia); la strada del compromesso è l’unica che conduce al palazzo della sopravvivenza.



Kitano racconta tutto ciò, come abbiamo detto, abbandonando la propria grammatica, la propria poetica ed il linguaggio cinematografico che l’ha reso celebre. La scelta è dichiarata e perciò onesta e rispettabile: se si smarrisce l’ispirazione, meglio volare basso e pensare a divertirsi piuttosto che fingere di essere ancora degli artisti.
In altre parole, Kitano ha il coraggio di compiere un’operazione opposta a quella di Malick (“To the wonder”): rinnega se stesso e tutto il suo percorso artistico (ed infatti, il suo personaggio per la prima volta accetta il compromesso per salvarsi la pelle), rinuncia ad ogni riferimento al suo cinema (non ha nemmeno più i capelli biondo platino) e si dedica di buon grado e con grande sincerità al puro intrattenimento.

Purtroppo, da questa prospettiva, ma solo da questa prospettiva, il film risulta leggermente deludente. Troppo lunga la prima parte e troppo stanche e castigate le rare esplosioni di violenza. Il film procede un po’ troppo a rilento e non ci si appassiona mai troppo. La storia sarebbe anche intrigante ed avvincente, ma manca il guizzo capace di trasformare il racconto in epica; Kitano, come il suo alias Otomo, sembra eseguire il suo compito più per dovere che per piacere.



Restano due o tre momenti pulp straordinari: su tutti la rivisitazione del classico sacrificio yakuza del taglio del mignolo che vale, da sola, la visione del film; e poi la voce originale dei due sottotenenti yakuza che sembrano un incrocio tra Godzilla ed uno scaracchio e, naturalmente, la scena della pallina da baseball… ma sono solo brevi attimi che, come le famose lacrime nella pioggia, sono destinati a smarrirsi ed obliarsi.

GIUDIZIO SINTETICO: Solo per appassionati (di yakuza eiga più che di Kitano).

VOTO: 6



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