Non capirò mai perché in Italia si
traducano i titoli dei film a caso: “Re della terra selvaggia” è il titolo dato da qualcuno che non ha
visto il film; peggio, da qualcuno che non ha visto nemmeno il trailer ed ha
maldestramente interpretato quello che gli ha raccontato qualcun altro che invece
il film l’ha visto, ma non l’ha capito.
D’altronde non sono certo il
primo che si lamenta del fatto che “Eternal Sunshine of the Spotless Mind” sia stato tradotto con l’ignobile “Se mi lasci, ti cancello” o che “Jeremiah Johnson” di Pollack abbia avuto in sorte l’insensato
titolo di “Corvo rosso, non avrai il mio scalpo!”.
Fortunatamente ho visto il film
in lingua originale, e tremo al solo pensiero di quello che il doppiaggio
italiano possa avere perpetrato ai danni del film dell’esordiente regista
americano, tenuto conto del fatto che l'inglese masticato dai protagonisti è veramente lontano parente della lingua di Shakespeare e le sue storpiature contribuscono in modo determinante alla loro collocazione socio culturale.
Non ci sono re, dunque; e nemmeno terre selvagge di krakaueriana memoria. “Beasts of the southern wild” mette in scena un'umanità animalesca, selvatica, primitiva. La "wilderness" non è una condizione dell'anima, nè una scelta di libertà esistenziale. Non ci sono spiriti insoddisfatti che si buttano uno zaino sulle spalle e si mettono in viaggio alla ricerca di se stessi. La simbiosi con la natura ha qui un connotato bestiale, appunto, e assai poco romantico.
La storpiatura del titolo italiano, tra l’altro, è doppiamente delittuosa trattandosi forse della cosa più riuscita ed indovinata del film il quale, nonostante
un’accoglienza clamorosa e una pressoché unanime profusione di consensi (grazie
anche ad una discreta dose di paraculaggine), non è invece esente da difetti ed immune da critiche.
Come al solito, andiamo con ordine.
Come al solito, andiamo con ordine.
La piccola Hushpuppy fa parte di una
comunità bayou della Luisiana del Sud.
La microscopica congrega di
esseri umani vive in un luogo chiamato Bathtub - Vasca da Bagno - nomen omen che ne sottolinea la
vocazione alle inondazioni e l'attitudine alla catastrofe.
Bathtub è un luogo paludoso ai
margini del fiume Mississipi: è uno spazio totalmente inospitale e completamente selvaggio.
I suoi abitanti, abbarbicati su
precarie case-palafitte, conducono un’esistenza primitiva, preindustriale, brada… La loro quotidianità è fatta
di stenti, feste e fatalismo.
Un diga separa il mondo
civilizzato dalla Bathtub. Anche se non è chiaro quale dei due mondi si protegga dall'altro. Al di la di quella barriera esistono regole,
medicine, pulizia ed igiene… al di qua vigono i principi della catena
alimentare: il grosso mangia il piccolo, il debole soccombe al forte, ognuno
deve imparare a cavarsela da solo… nella Bathtub si mangia con le mani, si vive
sporchi, si rutta a bocca aperta, ci si cura con pozioni magiche e si impara a
crescere rispettando gli Elementi: la natura è pericolosa e potente. Mortifera e meravigliosa.
Lo scioglimento delle calotte polari ha riportato in vita preistoriche creature che stanno marciando verso la piccola Hushpuppy.
Lo scioglimento delle calotte polari ha riportato in vita preistoriche creature che stanno marciando verso la piccola Hushpuppy.
Paludi,
alluvioni e temporali ricordano all'uomo la propria piccolezza e gli infondono la
giusta umiltà.
In questo mondo alieno e selvaggio Husupuppy vive col padre che le insegna ad essere forte, a contare su se stessa e ad arrangiarsi. L'uomo è gravemente malato e la sua ora è ormai prossima. La madre della bimba se n'è andata anni prima e nessuno l'ha più rivista.
Nel mondo bestiale della natura non c'è l'affetto familiare di stampo borghese, ma piutttosto il senso del branco. Il film, in ultima analisi, racconta il singolare viaggio di formazione di una bimba alle prese con le difficoltà della sopravvivenza.
L’esordio cinematografico di Zeitlin ha costretto la critica a
scomodare paragoni importanti: ho letto i nomi di Malick, di Miyazaki, di Herzog accostati di volta in volta a
quelli del trentenne regista del Queens… personalmente, ci andrei cauto. Molto
cauto.
Il film ha dei meriti
indiscutibili. Innanzitutto è un miracolo produttivo: in tutto è costato meno
di due milioni di dollari. Le scelte di casting (tenuto conto che sono tutti
attori non professionisti) sono tutte azzeccate e la piccola protagonista è
veramente una carezza. La musica è molto più che mera colonna sonora e
costituisce il portato di un’intera sotto-cultura. La macchina da presa si
muove con libertà assoluta: ora segue i protagonisti in perfetto stile
reportagistico, ora è invece la soggettiva della protagonista che osserva attonita la meraviglia del creato esprimendo così il proprio sentimento panico verso gli
elementi della natura. La voce fuori campo della piccola Hushpuppy completa lo “stile
Malick”.
Molto interessante la commistione di reportage, iperrealismo ed elemento fantastico: il regista mostra grande disinviltura nell'alternare efficacemente sguardi completamente differenti ed antagonisti tra loro: così, la documentazione d'inchiesta di impronta quasi antropologica si accompagna all'utilizzo di linguaggi assolutamente non scientifici (come, appunto, la soggettiva) fino al ricorso alla computer grafica per la messa in scena dei mostri giganti.
E poi, il regista ha trent’anni e con il budget di partenza ha fatto un piccolo miracolo.
Tutto molto bello e gradevole. Ma qui sta il principale problema: qualcuno ha definito il film "juicy e delicious" parafrasando il titolo dell'opera teatrale da cui Zeitlin ha preso spunto per la sua opera prima. Sono d'accordissimo. Sicuramente il fim è succoso e delizioso, ma per il sottoscritto i due aggettivi non costituiscono affatto un complimento. Non per un film del genere, almeno.
Molto interessante la commistione di reportage, iperrealismo ed elemento fantastico: il regista mostra grande disinviltura nell'alternare efficacemente sguardi completamente differenti ed antagonisti tra loro: così, la documentazione d'inchiesta di impronta quasi antropologica si accompagna all'utilizzo di linguaggi assolutamente non scientifici (come, appunto, la soggettiva) fino al ricorso alla computer grafica per la messa in scena dei mostri giganti.
E poi, il regista ha trent’anni e con il budget di partenza ha fatto un piccolo miracolo.
Tutto molto bello e gradevole. Ma qui sta il principale problema: qualcuno ha definito il film "juicy e delicious" parafrasando il titolo dell'opera teatrale da cui Zeitlin ha preso spunto per la sua opera prima. Sono d'accordissimo. Sicuramente il fim è succoso e delizioso, ma per il sottoscritto i due aggettivi non costituiscono affatto un complimento. Non per un film del genere, almeno.
Prima di proseguire l'analisi, occorre fare una debita premessa: il ragazzo - al secolo Benh Zeitlin - ha vinto ogni premio possibile immaginabile (compreso quello della giuria al Sundance e la Camera d'Or al Festival
di Cannes).
Il mondo della critica sta gridando al miracolo.
Il pubblico è tendenzialmente entusiasta.
Dopo le quattro candidature all'Oscar in molti hanno già eletto il suo film come il migliore dell'anno...
Ovviamente, rispetto le opinioni di tutti e mi inchino al nuovo astro nascente.
Mi permetto solamente di ricordare che premi prestigiosi hanno sembianze di ali, ma rischiano di diventare zavorra: soprattutto se si premia il talento piuttosto che la capacità; se si preferisce l'estro alla consapevolezza; se si confonde la competenza con la genialità, la poetica con lo stile.
Non sto dicendo che Zeitlin non meriti appalusi ed allori. Al momento riconosco talento, estro, competenza e stile. Non è poco, ma non so se è abbastanza. Consensi e trionfi iscrivono il ragazzo alla ristretta schiera dei registi veri e mi chiedo se, per lui, ciò costituisca un bene oppure una sciagura.
La premessa delle successive consideraioni, dunque, è che Zeitlin ha iniziato a giocare in Serie A; e in Serie A non importa se ti chiami Chievo e rappresenti solamente il quartierino di una cittadina provinciale; non importa nemmeno se ci sei arrivato per meriti o per caso. Il punto è che se vuoi rimanerci devi giocartela coi migliori.
Il mondo della critica sta gridando al miracolo.
Il pubblico è tendenzialmente entusiasta.
Dopo le quattro candidature all'Oscar in molti hanno già eletto il suo film come il migliore dell'anno...
Ovviamente, rispetto le opinioni di tutti e mi inchino al nuovo astro nascente.
Mi permetto solamente di ricordare che premi prestigiosi hanno sembianze di ali, ma rischiano di diventare zavorra: soprattutto se si premia il talento piuttosto che la capacità; se si preferisce l'estro alla consapevolezza; se si confonde la competenza con la genialità, la poetica con lo stile.
Non sto dicendo che Zeitlin non meriti appalusi ed allori. Al momento riconosco talento, estro, competenza e stile. Non è poco, ma non so se è abbastanza. Consensi e trionfi iscrivono il ragazzo alla ristretta schiera dei registi veri e mi chiedo se, per lui, ciò costituisca un bene oppure una sciagura.
La premessa delle successive consideraioni, dunque, è che Zeitlin ha iniziato a giocare in Serie A; e in Serie A non importa se ti chiami Chievo e rappresenti solamente il quartierino di una cittadina provinciale; non importa nemmeno se ci sei arrivato per meriti o per caso. Il punto è che se vuoi rimanerci devi giocartela coi migliori.
Fuori di metafora, dico solo che Zeitlin, volente o nolente, ha tutti i riflettori puntati sopra di sè. La domanda è: vale tutto quello che dicono? O è solo un'euforia passeggera e un dar fiato alle trombe?
Perchè, quando giochi nel campionato dei grandi, non conta un tubo se sei un ragazzo o un vecchio, se se sei il figlio del produttore o un povero cristo di belle speranze. Contano i risultati: Orson Wells, alla sua età, aveva già bell'e che girato “Quarto potere”, Godard “A bout the souffle”; Tarantino aveva già regalato al mondo “Le iene”; Truffaut “I quattrocento colpi”; Tsukamoto “Tetsuo”; Refn
“Pusher”; Lynch “Eraserhead”… devo
continuare?
Tanto vale togliersi subito il
dente: il film di Benh Zeitlin
non è un peso massimo e non credo meriti la Serie A. È invece un ottimo prodotto, un po' furbetto e molto ben
confezionato, sufficientemente paraculo e piuttosto manierista, ma purtroppo ancora troppo acerbo e poco consapevole della propria autorialità.
Voglio che sia ben chiaro. Non
sto affatto criticando Zeitlin per
aver plagiato lo stile di Malick, nè per aver attinto a piene mani dall’universo fantastico-grottesco di Miyazaki e Kusturica; non mi interessa se ad Herzog prude il naso ogni volta che qualcuno mette in scena l’impari
rapporto tra l’uomo e la natura o canta di eroi bislacchi e strambi outsider. Il limite del film di Zeitlin è quello di non riuscire mai ad andare oltre il brillante
omaggio. Non amo i paragoni, ma devo ammettere che aiutano a capirsi. Il
problema di “Beasts of the southern wild”
non è il non esser bello come “Le iene”,
quanto piuttosto il non riuscire ad essere altrettanto definito nella sua visione. E non
parlo di comprensibilità per lo spettatore: “Eraserhead” l’ha capito sono Lynch,
“Pi greco”, forse, non l’ha capito
nemmeno Aronofsky, e “Anche i nani hanno cominciato da piccoli” non è proprio il film
che si mette su quando si è stanchi la sera… eppure, nella loro ermeticità, sono
tutti film assolutamente chiari nella professione di una specifica e ben
delineata visione autoriale del mondo, del cinema e dell’esistenza.
Nel film di Zeilin, al contrario, non solo non mi è affatto chiaro cosa il
regista mi abbia voluto dire (ossia quale sia il senso ultimo del film), ma non capisco nemmeno quale sia la sua specifica posizione di autore.
Manca una linea precisa, il
marchio di fabbrica, l’impronta digitale che permette l’attribuzione certa e la
riconoscibilità immediata. Un film di Tarantino o di Tsukamoto si
riconosce alla prima inquadratura. “Beasts of the southern wild” è bellissimo, ambizioso, si ispira ai migliori maestri, ma non riesce a emanciparsene. Zeitlin pare sempre troppo attento a dire tutto bene, ad esprimere tutto nel modo giusto, per concentrarsi veramente sull'urgenza e sulla necessità del suo messaggio. Che si perde come la civiltà negli acquitrini della Luisiana...
È un film replicabile perché quello che
dice non è coerente con il come lo dice. Anzi, se volessi essere proprio cattivo, direi che il come lo dice lo prende in
prestito da altri ed il cosa non lo ha ben chiaro in testa nemmeno lo stesso Zeitlin.
Ovviamente, non sto dicendo che Zeitlin è privo di contenuti. Dico che li esprime con poca chiarezza, con confusione, in modo contraddittorio.
Ribadisco che non è questione di ermetismo o inaccessibilità. Il film è fin troppo lineare e delicato per risultare indigesto o non appetibile. Il problema è che al termine della visione non capisco che film ho visto. Un momento è un excursus antropologico e quello dopo è un viaggio di formazione; c'è un'interessante rappresentazione del conflitto civiltà/natura vista con uno sguardo curioso e non giudice, ma subito dopo si cade nel mito del buon selvaggio. E i cinghialoni zannuti? rappresentano le paure della piccola Hushpuppy che al termine del suo percorso di crescita vengono finalmente domate? O sono l’allegoria della natura che si ribella ai mali che le stiamo procurando?
Ognuno di quresti temi è assai importante e nobile e degno di rispetto, ma il film procede a singhiozzi come chi ha troppa sete e finisce per strozzarsi bevendo troppo in fretta.
Ribadisco che non è questione di ermetismo o inaccessibilità. Il film è fin troppo lineare e delicato per risultare indigesto o non appetibile. Il problema è che al termine della visione non capisco che film ho visto. Un momento è un excursus antropologico e quello dopo è un viaggio di formazione; c'è un'interessante rappresentazione del conflitto civiltà/natura vista con uno sguardo curioso e non giudice, ma subito dopo si cade nel mito del buon selvaggio. E i cinghialoni zannuti? rappresentano le paure della piccola Hushpuppy che al termine del suo percorso di crescita vengono finalmente domate? O sono l’allegoria della natura che si ribella ai mali che le stiamo procurando?
Ognuno di quresti temi è assai importante e nobile e degno di rispetto, ma il film procede a singhiozzi come chi ha troppa sete e finisce per strozzarsi bevendo troppo in fretta.
Ogni regista ha la sua opera
prima. Ci sono quelle discrete, quelle brutte, quelle splendide e, poi, ci sono
i capolavori. Poi ci sono quei film dai quali esci diverso rispetto a quando
sei entrato. Diverso perché conosci qualcosa in più su te stesso e sul regista
che te lo ha fatto scoprire.
Il film di Zeitlin mi è piaciuto, ma purtroppo non è il capolavoro che dicono.
Può darsi che io sia troppo
severo e che non usi per la pellicola di Zeitlin
lo stesso metro con il quale giudico “Quellacasa nel bosco”. È verissimo, ma come ho annunciato in premessa, le due
pellicole non appartengono allo stesso campionato. E il gioco non l'ho iniziato io, ma tutti quelli che gridano "al miracolo".
Se giudichiamo “Beasts of the southern wild” come
l’opera prima di un giovane regista indipendente merita senz’altro un 8 pieno;
ma se iniziamo a farcirlo di premi e recensirlo come il capolavoro dell'anno, allora dobbiamo avere l'onestà intellettuale di paragonarlo all’esordio dei colleghi che a parità di mezzi e di età anagrafica hanno sfornato pellicole che sono pietre miliari nella storia del Cinema; in questo caso, siamo ancora molto
lontani dall’avere un autore sufficientemente maturo, autenticamente consapevole
e fermamente convinto delle proprie idee.
La media fa sei e mezzo, ma se
fossi Zeitlin preferirei una bocciatura nel campionato di Fellini che una vittoria in quello di Muccino…
GIUDIZIO SINTETICO: Bellissimo esordio. Produttivamente geniale, ma ancora piuttosto acerbo perché si possa brindare
alla nascita di un nuovo Autore. La bimba è uno spettacolo. Paolo Conte cantava che in un mondo adulto si sbaglia da professionisti: credo che sintetizzi il miglior elogio e la migliore critica che possano farsi al film di Zeitlin. Aspettiamo, con grandi aspettative, il prossimo lavoro.
VOTO: 6+
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