Diciamolo chiaro e tondo: il film
è un gran polpettone, estremamente verboso e nemmeno troppo spettacolare.
Il cast tutto sommato funziona e
Daniel Day-Lewis si conferma un gigante che titaneggia su tutti.
La regia, solida e classica,
segue diligentemente una sceneggiatura un po’ pesante e abbastanza prevedibile…
La vicenda, a grandi linee, è
nota a tutti: Abramo Lincoln, 16° presidente degli Stati uniti e primo nella
storia del partito repubblicano, riuscì a far ratificare il 13° emendamento della
costituzione, con ciò ponendo la parola fine all’abominio della
schiavitù negli Stati Uniti d’America.
Quello che non tutti sanno è che
lo spilungone yankee era anche un gran figlio di buona donna il quale non esitò
a mentire, corrompere e giocare sporco pur di ottenere i risultati sperati.
Il presidente più amato dagli
americani, fu in realtà un mezzo dittatore che limitò la libertà di stampa,
perseguitò gli oppositori e che contribuì in modo determinante ad accrescere il
potere del governo centrale a discapito dell’autonomia dei singoli stati
confederati. Arrivò addirittura a ritardare la conclusione della Guerra di
Secessione (con perdite umane incalcolabili) ben sapendo che la pace avrebbe
impedito la votazione che lo avrebbe portato alla Storia.
Spielberg, nonostante sia
Spielberg, riesce in qualche modo a raccontarci tutto questo e a non capitolare al cospetto del fortissimo carisma dell’eroe che, novello Spartaco, liberò gli
schiavi.
Certo, il film non è sicuramente esente da pericolose cadute nella più zuccherosa retorica: la scena iniziale, ad esempio, con i due soldati che,
ancora coi segni della battaglia, recitano a memoria il celebre discorso di
Gattysburg, faceva presagire i più oscuri sviluppi. Un inizio del genere mi ha fatto
seriamente temere che a metà film avrei visto il presidente entrare in una
cabina per uscirne in volo, più veloce della luce, con un mantello rosso sulle spalle… fortunatamente, l'enfasi pian piano si sgonfia, il racconto rientra nei ranghi di una qual
certa obiettività e, come detto, Lincoln torna ad essere più simile ad un personaggio storico
che ad un eroe dei fumetti.
Il principale merito di Spielberg
è stato quello di ambientare gran parte del film in interni; ciò, non tanto allo
scopo di tratteggiare un’immagine “privata” del presidente (di cui,
sinceramente, frega assai poco), quanto piuttosto per mostrare la vera essenza dell’arte
del governo.
La politica, dunque, descritta
non come confronto pubblico, espressione del potere elettorale ed esercizio dialettico,
bensì come losca macchinazione, abile trama e sporco traffico.
La fotografia, veramente molto ben
curata, sottolinea ed esalta questo contrasto: così, timide lampade si sforzano di illuminare stanze troppo grandi; fioche luci penetrano faticosamente dai tendaggi... nei salotti, nelle camere, nelle cucine è tutto un tremolare di chiaroscuri, una danza di ombre che costringe l'occhio a socchiudersi; i contorni si sfumano, i colori si attenuano e i dettagli si smarriscono… sono questi i luoghi dove germoglia e si sviluppa il seme dell’intrigo,
dove si pianificano le strategie e dove si disegna il destino degli uomini e
delle nazioni. Sono luoghi di compromesso, di ricatto, di mercimonio che
debbono rimanere segreti e lontani dalla luce dei riflettori.
Per il popolo, invece, c’è il teatrino della politica e le aule del Gabinetto in cui i rappresentanti eletti esprimono, con grande enfasi retorica, apprezzamenti o riserve sull’ordine del giorno. È uno spazio fatto di luce vivida, chiara, precisa. I dettagli sono ben palesati e tutto è manifesto. Il pubblico ascolta, la stampa assiste e i politici si mettono in mostra.
Per il popolo, invece, c’è il teatrino della politica e le aule del Gabinetto in cui i rappresentanti eletti esprimono, con grande enfasi retorica, apprezzamenti o riserve sull’ordine del giorno. È uno spazio fatto di luce vivida, chiara, precisa. I dettagli sono ben palesati e tutto è manifesto. Il pubblico ascolta, la stampa assiste e i politici si mettono in mostra.
Ma è altrove - in penombra - che si decide la Storia.
Il vero problema di tutta l’operazione
è che Steven Spielberg non è James Ellroy…
Dategli un pescecane, un tir
impazzito o un avventuriero con frusta e cappello ed il regista di Cincinnati riuscirà
a spremere emozioni come da una spugna bagnata. Spielberg si trova a proprio
agio negli scontri biblici: il Bene contro il Male, Indiana Jones contro i
nazisti, Roy Sheider contro lo squalo bianco, una Plymouth Valiant del 1970
contro un’autocisterna assassina.
È regista di eroi brillanti ed
effetti speciali… non è fatto per la penombra, per i raggiri, per i loschi
intrighi. Deve cantare di Achille, non di Ulisse o di Amleto.
Visti anche i tempi in cui
viviamo, non credo sia rimasto un solo spettatore a confidare nelle buone
intenzioni della Politica, a illudersi che possa esistere un funzionario immune alla
corruzione, al complotto, alla macchinazione; Alzi la mano chi è convinto che esista
anche solo la teorica possibilità di ricoprire una carica pubblica senza dover
restituire favori, accettare compromessi, subire ricatti. Persino Spielberg lo sa, ma la cosa lo turba moltissimo.
La politica è un gioco sporco e
se lo si vuole giocare si deve essere pronti a sporcarsi mani e piedi, l'anima ed il cuore.
Cinquant’anni fa il film di
Spielberg non sarebbe comunque sembrato destabilizzante, ma quantomeno avrebbe
suscitato un qualche timido interesse. Nel secondo decennio del terzo
millennio, invece, il reportage storico del regista di “Duel” sembra qualcosa
di molto simile alla scoperta dell’acqua calda.
Spielberg, come detto, tradisce
il proprio istinto, la propria natura e la propria vocazione e rinuncia alla
tentazione di affrescare l’eroe… ogni suo sforzo è costantemente teso a rimanere
sull’uomo e a non inseguire il mito.
Ma anni di film di fantascienza
mi hanno insegnato che si può solo addomesticare la propria natura, non
sconfiggerla… Spielberg, nonostante le migliori intenzioni, non riesce, se non
timidamente, nella gravosa impresa. Tutto il film, infatti, è un continuo colpo
alla botte che segue quello al cerchio: Abramo Lincoln corrompe un deputato, ma
ne soffre; il Presidente commette spergiuro davanti al Congresso, ma lo fa per una
giusta causa; le sue attitudini dittatoriali? Le racconta – sottovoce – qualche
personaggio antipatico e di scarso appeal…
Con ciò non voglio dire che il film sia brutto o sbagliato. “Lincoln” è un ottimo prodotto: regia solida, bravi attori, ottima fotografia e splendidi costumi. L’intuizione che ne sta alla base è encomiabile e sacrosanta. Con buona probabilità, rappresenta il meglio che Spielberg poteva riuscire a fare e supera di gran lunga ogni mia più rosea aspettativa. Ma manca la ciccia; manca il sangue; manca il midollo. Spielberg ha voluto addentrarsi nel cuore di tenebra della politica; ha provato a svelare il vero volto di uno dei più amati presidenti degli Stati Uniti, ma è riuscito a malapena a scalfirne la scorza. Se si vuole aprire una pista nella jungla non si deve avere l’animo del giardiniere, ma occorrono colpi di machete forti e ben piazzati. E bisogna avere ben chiaro dove si vuole arrivare, altrimenti il rischio è quello di lasciarsi incantare dalla bellezza del paesaggio, smarrirsi e finire in qualche trappola.
“Lincoln” poteva essere l’occasione
della vita: il punto non è se il cavaliere jedi cederà o meno al lato oscuro della forza… il
punto è che non esistono i cavalieri jedi e nemmeno il lato oscuro della forza.
Il punto è che lo squalo non uccide il bagnante perché è davvero cattivo, ma perché è
la sua natura.
La politica non è sempre un pranzo di gala e
Lincoln non era solo un santo. C’erano infiniti modi per dircelo (tenuto conto che
non avevamo certo bisogno di Spielberg per scoprirlo), ma il film ha scelto
quello più lineare, diretto, veloce. Come una medicina cattiva, Spielberg l’ha
ingoiata tutta d’un fiato ripetendosi: "non mi piace, ma fa tanto bene…".
Il punto, invece, è che avrebbe
dovuto bersi l’intera boccia e godersene ogni singola goccia. Il fiele, per gli
intenditori, ha lo stesso sapore del miele.
Non sono riuscito a spiegarmi?
datevi un’occhiata a prodotti come “Boss”, “Homeland”, “The wire” se volte
capire come si deve bere l’amaro calice.
Se si vuole dichiarare guerra alla
facile retorica e alla celebrazione ottusa dell’eroe c’è un solo modo: niente
sconti, niente prigionieri, si spara per uccidere. Tutto il resto è noia.
GIUDIZIO SINTETICO: Film solido e disciplinato. Abbastanza
partigiano (anche se meno del previsto) e molto verboso. Ottimo Daniel DayLewis. L’impressione di fondo, tuttavia, è quella del diligente compitino
realizzato dal secchione della classe. Manca il guizzo… mancano le stigmate
dell’autore capace di “abbassare” il racconto all’altezza della Storia. Minimo
sindacale raggiunto, ma rimane il sapore dell’occasione sprecata.
VOTO: 6+ (di incoraggiamento)
Impressionante, è vero, Daniel Day Lewis che con un po' di trucco e forse due trampoli riesce a troneggiare su un cast scelto alla perfezione per non creare antagonisti. Non fa Lincoln, lo è. Ma forse lo è anche troppo: un po' stucchevole in alcuni punti, un po' troppo accondiscendente rispetto alla parte che talvolta lo prende per mano e se lo porta via sulla strada della personalità offuscata. Condivido il giudizio in pieno. Filmone storico, meno palloso del previsto, scontato quanto basta, tutto sommato guardabile. Spielberg lentamente sta adagiandosi sulla poltrona della comodità: il prossimo film sarà sulla Mayflower e ci vorremo tutti un po' più bene..
RispondiEliminaA me Lincoln non è piaciuto. Confesso di aver trovato più interessante e appassionante la recensione di Bebe.
RispondiEliminaL'interpretazione di Daniel Day Lewis è superba... che impressione vederlo così alto!
Bellissimi gli interni in cui sono stati ambientati i "salotti della politica".
Poco pathos, poche emozioni e poi troppe, troppe parole!