Un lupo corre libero in una terra fredda ed ostile. Stacco. Una picca, una berta ed un crocefisso impilati uno sopra l’altro; sullo sfondo, ritratti di madonne con pistole.
L’incipit dell’ultimo film di
Gabriele Salvatores è potente e sembra cogliere il segno: icone e simboli
sintetizzano un intero universo ed aiutano ad introdurre lo spettatore dentro
una terra inesplorata e sconosciuta che è un luogo culturale, morale ed
esistenziale prima ancora che geografico.
Questa terra si chiama Transnistria,
un non-stato privo di alcun riconoscimento internazionale collocato
nell’attuale Moldavia. Qui, stando alle parole di Nicolai Lilin, Stalin deportò
in segreto migliaia di russi e, tra questi, anche i temibili guerrieri urca
delle grandi foreste siberiane.
Ora, non ho la più pallida idea
se i racconti di Lilin abbiano o meno un fondamento di verità e, in tutta
sincerità, mi interessa assai poco “fargli
tana” nel caso abbia solo sparato panzane.
Il suo singolare reportage, vero
o inventato che sia, mi ha veramente appassionato: il clan di “onesti criminali”
che vive seguendo il proprio rigidissimo codice etico funziona alla stragrande
ed è raccontato da Lilin con un realismo che sfiora il documentarismo e
l’antropologia. Tuttavia, il racconto è classificato come romanzo e non come
saggio per cui le chiacchiere stanno a zero e quello che conta è la qualità
dello scritto e non la sua presunta o dichiarata autenticità.
Voglio dire, anche Dante ha
provato a farci credere di essere veramente andato a spasso per l‘inferno a braccetto con
lo spirito di Virgilio, ma non per questo ci permettiamo di
contestare il valore letterario della “Divina Commedia”… con ciò non voglio assolutamente dire che “Educazione Siberiana” sia allo stesso
livello delle cantiche del poeta fiorentino, ma merita comunque lo stesso
trattamento.
Il clan dei siberiani è un
universo semplice, fatto di pochi precetti, ma assolutamente ferrei e non
emendabili; tra questi, primeggia il "francescano" tutte le creature vanno rispettate! Il problema, trattandosi del
clan dei siberiani, è intendersi sul concetto di “creatura”. Sbirri, politici,
usurai e banchieri, ad esempio, non rientrano affatto nella definizione. A loro
è concesso rubare ed è proibito ad ogni siberiano anche il solo rivolgergli la
parola.
"Un uomo non può possedere più
di quanto il suo cuore possa amare”: sebbene sappia un po’ di citazione del libro “Cuore” stampata
nella stagnola di un Bacio Perugina, il secondo comandamento pronunciato dal
tatuatissimo nonno Kuzya (John Malkovich) esprime la singolare avversità
del clan verso il denaro, visto come
qualcosa di sporco e di infetto che non deve nemmeno entrare nelle case dei
siberiani. Da qui, il conflitto inevitabile tra i paladini della "vecchia scuola" e la scalpitante, impaziente ed ambiziosa nuova guardia alle prese con l'avvento ed i conseguenti miraggi del capitalismo occidentale.
Anche la religione ha una ortodossia tutta sua e le preghiere sono
tutte un programma: i siberiani si rivolgono a dio affinché mantenga il
criminale onesto, la mano ferma e la mira sempre precisa mentre si affronta il
nemico. Alla faccia dell’ossimoro!
Tutto questo pippone per dire che
l’inizio del film, seppure un po’ didascalico, tutto sommato risulta abbastanza
efficace. Peccato che intorno al quarantacinquesimo secondo le icone, i simboli e le migliori
intenzioni vadano letteralmente a farsi friggere, cedendo irrimediabilmente il posto alla sagra dello stereotipo e del folklore
più bieco.
Neanche un minuto e quello di
Salvatores si trasforma in un mediocre filmetto che vorrebbe trovare la sintesi
tra “Goodfellas” e “C’era una volta in America”, senza
tuttavia mai riuscire nemmeno a sfiorare la violenza esplosiva del primo o la carica epica del secondo. Di regia non parlo nemmeno, tanto risulta piatta e banale: non
c’è una sola sequenza, una sola inquadratura, una sola immagine che rimanga
impressa nella memoria (no! nemmeno la tanto celebrata scena della giostra la quale, tutt’al
più, non risulta pessima come il resto del film, pur risultando comunque
retorica e scontata: voglio dire, filmare dal basso l’ultimo giro di giostra
dei quattro amici per simboleggiare l’arrivo del consumismo e la fine
dell’adolescenza mi sembra un po’ come mostrare l'impollinazione delle api ed il lancio di un missile per rappresentare le dinamiche dell'amplesso. Se aggiungete “Absolute Beginners” del Duca Bianco sparata a palla
degli altoparlanti il tutto si commenta da sé).
Salvatores si limita a sviluppare
la trama (peraltro pesantemente modificata e mortificata in fase di
sceneggiatura) una scena dietro l’altra senza mai nemmeno provare a portare
avanti una qualsivoglia idea di cinema o di regia.
Strutturalmente, il film non
riesce ad emanciparsi dall’abusato genere del “romanzo di formazione”.
Pertanto, si racconta del solito gruppo di amici che, tra gli anni ’80 e gli
anni ’90, vive sulla propria pelle gli ultimi fasti del regime, la caduta del
muro di Berlino, il ritorno dell’esercito russo e la guerra in Cecenia. Nel mezzo,
avventure, amore e scazzottate. Il tutto, con una carica epica che fa apparire Bruno Vespa come un novello Omero.
Come nella più consolidata tradizione,
Kolyma e Gagarin (i due principali protagonisti amici per la pelle) finiranno
per percorrere strade diverse e separarsi. L’epilogo non potrà che essere
tragico.
Ero preparato al fatto che la
trasposizione cinematografica dell’ottimo romanzo di Lilin comportasse
l’adozione di drastici adattamenti: troppo sfaccettato, troppo corale, troppo poco
romanzo l’originale racconto cartaceo per poter essere trasposto sugli schermi
senza un grande lavoro di adattamento e di riscrittura.
Mi auguravo, tuttavia, un’operazione
“alla Gomorra”.
Garrone (l’unico vero regista
italiano degno di questo nome degli ultimi vent’anni), era infatti riuscito ad
approcciarsi all’opera di Saviano rinunciando dichiaratamente ad ogni ambizione
di fedeltà narrativa, scegliendo consapevolmente di realizzare una
ambiziosissima operazione di totale riscrittura capace di raccontare per
immagini, colori e suoni quella che era l’essenza più intima e vera del
romanzo-reportage di Saviano.
“Gomorra” ed “Educazione siberiana” costituiscono due opere letterarie che, pur con innegabili
differenze stilistiche e retoriche, sono accomunate dalla caratteristica di
riuscire a generare nel lettore una sorta di shock culturale. La lettura dei
manoscritti ci ricorda bruscamente come anche per noi figli della banda larga,
dei voli low-cost, di wikipedia e dei social network, il mondo rimanga ancora
un luogo assai sconosciuto e misterioso.
Tra le Vele di Scampia ed le
modeste abitazioni dei discendenti dei guerrieri urca , esistono uomini e
luoghi che rendono il mondo meno globale ed omologato di quanto immaginiamo, sgretolando
di colpo tutte le nostre ambizioni di conoscenza e di controllo sulle cose.
Purtroppo, Salvatores non è nemmeno
la brutta copia di Garrone e, contrariamente a quest’ultimo, il regista napoletano
cede troppo facilmente e troppo presto alla tentazione di percorrere la via più
facile: perciò, ecco apparecchiata una bella storiellina di amicizia,
disillusione e vendetta che non riesce mai ad elevarsi al rango di affresco.
Può darsi che a Salvatores non
interessasse affatto approfondire l’argomento e abbia consapevolmente scelto di
non avventurarsi dentro i meandri della cultura dei discendenti dei guerrieri
delle foreste siberiane. Ve lo concedo. Lasciatemi tuttavia dire che prendere “Educazione siberiana” e ridurlo al
solito film di giovani che prima sono grandi amici, poi litigano, poi si
ritrovano e infine si ammazzano è uno spreco enorme e una grande occasione
mancata. Questo concedetelo al sottoscritto. Sempre con le dovute differenze, è come prendere "Delitto e castigo" e farci su un bel thriller...
Il peccato mortale del film di
Salvatores è proprio quello di aver rinunciato (consapevolmente o meno) ad
affrontare di petto lo shock culturale rappresentato dal clan dei siberiani. Il
regista non prende mai una posizione, nemmeno efficacemente descrittiva, troppo
impaurito all’idea di sembrare in qualche modo accondiscendente o critico o,
magari, addirittura simpatizzante.
L’universo di Kolyma è un mondo totalmente
alieno, parimenti ributtante e meravigliosamente affascinante in cui la
violenza convive pacificamente con la devozione, il sacro col profano, il
rispetto con l’umiltà, la vendetta con la pietà, il crimine con l'odio per il denaro, la solidarietà con la più impassibile ferocia: La Trasnistra è un inferno in
terra, con città che sono prigioni e quartieri che sono gironi danteschi. Salvatores
non ci capisce una mazza e ci spedisce innocue cartoline che fotografano solo
la superficie dello stereotipo più scontato: la picca come compagna di vita,
l’odio per il poliziotto, la visione dei pazzi come delle creature "volute da
dio".
Beh, molta poca roba per chiunque
abbia letto il libro. Elencare tutto quello che manca sarebbe inutile ed
eccessivamente impietoso.
Il film è come i tatuaggi che
ornano i corpi di questi moderni guerrieri: senza un codice che ne sveli i
segreti essi non sono altro che rozzi segni di china sotto il primo strato di
epidermide..
Il clan dei siberiani è molto più
che furtarelli e scazzottate, ma Salvatores non trova mai la luce in grado di scioglierne
gli ossimori.
“Educazione siberiana” svela l’universo
dei discendenti degli urca come i completi gessato, i baciolemani e gli scacciapensieri raccontano quello mafioso.
GIUDIZIO SINTETICO: Il film delle occasioni mancate: pessima
regia, pessima sceneggiatura, cast discreto, ma totalmente sprecato. Quanto alla
violenza, ce n’è di più in un film di Barboni con Bud Spencer e Terence Hill.
Povera, povera, povera Italia.
VOTO: 3
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