26/02/16

OZ (di Tom Fontana)


È il 1997. Ho ventitre anni e intorno a me succedono un sacco di cose strane. Molte brutte. Altre peggio. Altre, chissà, sto ancora cercando di elaborarle...


È l'anno in cui nell'etere rimbalza impunemente "Laura non c'è" di Nek, gli Aqua spopolano col tormentone "Barbie Girl" e Bocelli registra addirittura il disco più venduto dell'anno... Se tre indizi fanno una prova, allora c'è veramente da cominciare a preoccuparsi e iniziare a disegnare pentacoli, sgozzare capretti e immolare primogeniti... e se questo è il livello della musica, meglio far girare i dischi al contrario!


I soliti catastrofisti di fine millennio ne approfittano per uscire dalle grotte e riversarsi sulle strade preannunciando l'imminenza della prossima apocalisse. Cazzo, tra Nek e l'apocalisse forse anch'io sono tentato di tifare la seconda...

Il ventitreenne che è in me, normalmente razionale, scettico e pronto a fasi beffe di qualsivoglia superstizione, fanatismo o religione (che, poi, sono la stessa roba), avrebbe una gran voglia di dire ai Savonarola dell'Armageddon che la smettessero di rompere i coglioni e andassero a lavorare; o, tutt'al più, che andassero a sfogare i malumori prendendo Nek a badilate sulla schiena (che, comunque, è sempre un'attività sana ed estremamente positiva per il sistema cardio-circolatorio)...

Il problema è che nell'aria si respira effettivamente puzza di zolfo.

Alla voce: puzza di zolfo
I segnali, in effetti, sono ovunque; basta solo guardarsi attorno. Quattro poveri sfigati hanno la bella pensata di dirottare un vaporetto e occupare il campanile di San Marco, con un blindato di cartone, inneggiando la Serenissima Repubblica di Venezia. Nel frattempo, due studenti di Stenford registrano il dominio di Google, cambiando per sempre la storia dell'internet e di noi tutti; nell'ex cortina di ferro, il compagno Kasparov le busca di brutto da Deep Blue della IBM... è la prima volta che un computer batte un professionista della scacchiera (e pure russo), ma almeno è molto più facile trovare le donnine nude sull'internet. Quanto ai "Serenissimi", stendo il proverbiale velo pietoso.
Chissà, forse il mondo sta veramente per finire. O, almeno, la civiltà, così come la conosciamo e l'abbiamo sempre intesa. E non mi riferisco al demente condensato dei peggiori fanatismi e delle più autarchiche demagogie locali, che viene impropriamente invocato ogni volta che qualcuno deve trovare una scusa per fare cassa o legittimare qualche aberrante iniziativa di politica estera o domestica. Mi riferisco, invece, alla più alta espressione di una collettività organizzata, capace di convivere pacificamente, esaltare le diversità, imparare dai propri errori ed esprimere idee, riflessioni e prodotti che siano culturalmente degni di essere trasmessi alle generazioni future.


Da questo punto di vista, gli anni '90 non sono stati proprio una fucina di meraviglie.

Sui nostri tubi catodici spopolava la brava gioventù ribbbbelle di Beverly Hills, che ci mostrava i "tormenti" di un mondo di sbarbe in piscina e di ragazzini con la Porsche del babbo, i cui massimi problemi esistenziali erano lo scegliere se buttarlo dentro a Tiffani Thiessen, a Kathleen Robertson o a Shannen Doherty... o di farselo buttare dentro da Luke Perry, Brian Austin Green o Jason Priestley, a seconda dei gusti e delle preferenze di ognuno. Per non parlare degli indomiti bagnini di Baywatch, che denunciavano coraggiosamente la dura vita dei lavoratori sulle spiagge delle Hawaii, circondati di supermodelle in bikini del calibro di Gena Lee Nolin, Pamela Anderson, Yasmine Bleeth, Nicole Eggert, Erika Eleniak, Donna D'errico e Tracy Bingham... 
Serie iper di successo come "7th Heaven", "Streghe", "Lois & Clark", "Dawson Creek", "La signora del West", "Will & Grace" erano innocue e reazionarie come un meeting di papaboys e suonavano sinistramente come unghie che grattano il fondo del barile. 

Insomma, erano anni in cui la televisione era il refugium peccatorum ove si lasciava spazio alla peggio gente, ai peggio contenuti e alle peggio idee e in cui anche un genio come Sam Raimi (che pure in sala spaccava culi con "L'Armata delle tenebre" e "Soldi Sporchi"), non riusciva ad inventarsi niente di meglio di "Hercules" e "Xena" (quest'ultima, in realtà, non era proprio roba sua, ma nasceva comunque come spin-off del già citato "Hercules"). Va beh che tutti dobbiamo pagare le bollette, ma Kevin Sorbo nei panni del figlioccio bastardo di Zeus era veramente una roba brutta brutta. Ammetto di essermele comunque sparate tutte con grande piacere, ma ci ho messo quindici anni a smettere di vergognarmi. Oggi, tra l'altro, la cosa torna utile, dal momento che fa molto intellettuale radicalchic il potersi vantare al bar di aver visto i peplum trash del padre de "La Casa", millantando la finta lungimiranza di chi aveva già capito tutto ed era riuscito a leggere i segni postmoderni del mondo che sarebbe venuto nei reggiseni borchiati della principessa guerriera; in realtà, all'epoca non c'era molto altro da guardare; e poi volevo disperatamente vedere se finalmente uscivano a Lucy Lawless (spoiler: non uscivano!!!), ma perché rovinare una bella storia con la verità.... 

Tutto questo, lo ribadisco, era per farvi capire che negli anni '90 non stavamo messi proprio bene... ma proprio pe' gnente!!!

Tranqui Beech, gli anni '90 stanno per finire...
Ma fatti non fummo per viver come bruti e, in barba ai fanatici del catastrofismo e in culo a chi ci dava già per spacciati, anche nel nostro momento più buio alcuni raggi di luce seppero spezzare la tenebra e ridare la speranza.

Così, con l'arroganza che è solo dei giusti e la strafottenza di chi aveva effettivamente capito in che direzione doveva iniziare a tirare il vento, apparve all'improvviso tutta una serie di show che non solo violava spudoratamente ogni decalogo e regola aurea delle produzioni televisive a stelle e strisce (ossia contenuti rassicuranti; bravissime e poveroni a profusione; sessualità ammiccata, ma mai esibita; politically correct come dogma e disimpegno come religione), ma che, nel farlo, riusciva anche a riscuotere un successo clamoroso. 
Roba come “E.R.”, “X-Files” e “N.Y.P.D.”, non solo vendevano come hotdog al Superbowl, ma ci riuscivano con spettacoli adulti, regie vere, sceneggiature ragionate e messe in scena credibili. Erano spettacoli non solo fatti bene, ma che avevano pure il coraggio di confessarci che il mondo, in effetti, non era proprio un universo di sorrisi a 32 denti, famiglie felici e sbirri buoni. All'improvviso, la televisione cominciò a mostrarci storie complesse, spesso ben girate e ben scritte, che non volevano venderci la favolina di un mondo perfetto, ma farci semmai riflettere su quanto poco lo fosse il nostro. 

Forse il mondo poteva ancora salvarsi. Molti accolsero questo avvento con le braccia aperte e i lucciconi agli occhi, ma la verità era che nessuno di noi, nell'anno del signore 1997, era ancora psicologicamente e culturalmente preparato ad una bomba come “OZ”.

Salve, sono la speranza dela Civiltà
Scusate il pippone introdutivo, ma quando vidi la prima puntata dello show di Tom Fontana sull'allora Tele+, rimasi letteralmente folgorato. E l'unico modo in cui potevo provare a spiegarvi l'importanza e l'influenza cruciale che ebbe "OZ", nella mia vita di sbarbo e nella storia della televisione, era quello di ricordarvi il contesto in cui si manifestò. 
"OZ", se mi consentite il paragone, è l'Attila della serialità televisiva; il Gengis Khan della cultura popolare.

È lo show che tutto ha conquistato e tutto ha distrutto. Dopo di lei, nulla è più potuto essere fatto allo stesso modo e nessuno ha più potuto guardare il mondo con gli stessi occhi. La verginità e l'innocenza se ne erano letteralmente andate a puttane.

Già, perché grazie ad “OZ” tutto è cambiato. Innanzitutto, è stata la serie che ci ha fatto scoprire, per la prima volta, l’importanza del broadcast di produzione. Fino ad allora, i loghi delle varie Fox, Rai, BBC, ABC o AMC erano solo dei fastidiosi sgorbi colorati ai bordi dello schermo. HBO ci fece capire che il network su cui andava in onda poteva dirci di una serie molto di più che il suo regista, il suo cast o i suoi creatori. Scoprimmo che accanto ai canali generalisti e commerciali, ce n'erano altri con forte vocazione verso l'azione, le tematiche adulte e le immagini poco edulcorate.  Fu così che l’inconfondibile SCRRRRRRRRRRRRR di HBO, da quel momento in avanti, sarebbe diventato, nei cuori di noi tutti, il marchio di fabbrica delle serie “con le palle”. 
Tutto questo lo si deve ad "OZ", la serie con la quale HBO ha dichiarato guerra alla televisione generalista, buonista e rassicurante, ha stracciato ogni regola e non ha fatto prigionieri.

"OZ" ha scommesso sull'intelligenza del suo pubblico. Lo ha fatto rischiando tutto, senza paracadute e senza mezze misure. Ha scommesso che lo spettatore non avrebbe cambiato canale, nonostante venisse messo di fronte ad un messaggio durissimo, raccontato da personaggi tremendi attraverso storie complesse che si sviluppavano orizzontalmente per intere stagioni e che richiedevano grandissima attenzione per essere seguite. Ha scommesso che la gente non sarebbe scappata di fronte alla violenza delle immagini; che non si sarebbe fatta intimorire e sopraffare dalla negatività e dal cinismo della sua morale. E che forse, invece di inorridirsi, si sarebbe messa a pensare.
Vi ho appena fatto un lungo reminder dell'immondizia che passava in TV nel 1997. Vi ricordate? Ecco, pensate cosa rappresentò una serie in cui c'erano almeno 40 personaggi principali (invece che i soliti 5-6), molti dei quali morivano male e venivano sostituiti nel corso dei vari episodi e che dovevano essere ricordati e memorizzati alla perfezione, perché le linee narrative intreciavano continuamente le loro alleanze, le loro rivalità e le loro dinamiche e, molte volte, si riusciva a capire solo a diverse stagioni di distanza il senso di quello che avveniva sullo schermo. 



HBO non chiese gentilmente il permesso a nessuno, si impose a sprangate e pretese arrogantemente attenzione: fu la prima serie del network col formato di 55 minuti a puntata. Ossia una durata tripla rispetto ad una sit-com e di una volta e mezzo quella di un normale telefilm. Come a dire: amico mio, ho una sacco di roba da dirti; quindi, mettiti bello comodo, perché non sarà breve, e non sarà affatto indolore.

Non si era mai vista una serie televisiva in cui TUTTI protagonisti erano assassini psicopatici, stupratori seriali o sbirri corrotti. E i buoni? Dove cazzo erano finiti i buoni? Oggi fa meno impressione, ma nel 1997 non era neanche lontanamente immaginabile qualcosa di simile. Vi ricordo che i Sopranos, che al confronto sono chierichetti, arriveranno solo due anni dopo! Il livello di cinismo, violenza e durezza dello show di Tom Fontana riusciva a superare persino quello dei film più estremi degli autori più scomodi.


“OZ” è il soprannome dell’Oswald State Penitentiary, ossia un carcere di massima sicurezza. E i protagonisti della serie sono i suoi reclusi e le loro guardie. Questo carcere non viene MAI ripreso dall’esterno e la sua ubicazione non viene MAI specificata. Esso rappresenta, in qualche modo, TUTTI gli Stati Uniti d’America, non solo nei suoi molteplici sistemi carcerari e repressivi (che, come sapete, sono diversi da Stato a Stato), ma anche nel suo insieme razziale, culturale e religioso. Avete presente "The Hatetful Height"? Stessa roba; con la differenza che lo show ideato da Tom Fontana ci è arrivato vent'anni prima, peraltro rappresentando gli Stati Uniti non semplicemente come un saloon nel mezzo del Wyoming, ma come una prigione infernale colma della peggio feccia che si possa immaginare. Le varie pene e le diverse tecniche di controllo carcerario (persino la pena di morte) presenti in “OZ", infatti, costituiscono una sorta di sintesi artificiosa di TUTTE le carceri americane e di TUTTE le legislazioni repressive dei vari Stati federali. Non solo. Dentro OZ ci sono i rappresentanti etnici e culturali di TUTTO il territorio statunitense: bianchi, latinos, neri, militanti ariani, integralisti cattolici, fondamentalisti mussulmani, etero e gay, irlandesi e italiani…

Dentro Oz viene allestito un braccio speciale, “l’Acquario” (nella versione originale: “Emerald city”, dal nome della città del “Mago di OZ”), dentro il quale vengono rinchiusi alcuni rappresentanti delle differenti etnie, fazioni e culture malavitose. L’Acquario è un posto speciale: le celle sono costruite in plexiglas trasparente e i detenuti hanno ampia libertà di manovra e di azione. Tutti possono vedere tutti e nessuno può nascondersi dall’occhio degli altri detenuti e delle guardie. L’intento sarebbe sociologico, antropologico e riabilitativo. Il risultato è invece un bagno di sangue, osservato in sconvolgente trasparenza come su una piastra di Petri. Oz e, in particolare, l’Acquario costituiscono un microcosmo dentro cui “nuotano” - e il termine non è casuale - i membri delle varie gang e fazioni rivali, che costituiscono, come detto, lo specchio dell’intera nazione americana: una nazione multietnica, violenta, pragmatica e costantemente divisa per ragioni culturali, religiose e razziali. 

Dentro l’acquario si uccide e si viene uccisi, si spaccia e si contrabbanda, si stupra e si viene stuprati. La violenza, fisica e psicologica, è all’ordine del giorno. Non c’è praticamente una puntata in cui un personaggio importante del cast non venga brutalmente seviziato o malamente fatto fuori. Non affezionatevi a qualcuno, perché sicuramente ci rimarrete male di fronte alla sua prematura e improvvisa dipartita.

Cazzo guardi?
Dentro l’Acquario i fanatici della Militanza Ariana sguazzano al fianco dei leader del cartello del narcotraffico latino americano; gli Zombie (il gruppo degli afroamericani), siedono accanto ai mafiosi di origine italiana o ai cattolicissimi e violentissimi irlandesi dell’IRA; gli integralisti dell’Islam armato convivono con i Cattolici e con le checche. E poi ci sono “gli altri”, ossia quelli che non appartengono ad alcun gruppo specifico, ma che devono scegliere in fretta da che parte stare.
Naturalmente, fare parte di una fazione, quale essa sia, significa, inevitabilmente, farsi dei nemici e, talvolta, pagarla assai cara.
A sovraintendere l’Acquario c’è Tim McManus, detto “il redentore” per la sua vocazione a recuperare le frange più derelitte e disperate dell’umanità (da qui la sua ideazione dell’Acquario). Il suo idealismo, che spesso si confonde con protagonismo e ambizione, verrà messo a durissima prova nel corso delle sei stagioni.

E poi c’è il mondo dei poliziotti, dei secondini e delle guardie, che – se è possibile – è più spietato, cinico e tremendo di quello dei criminali. Non c’è un sistema buono che si contrappone ad uno cattivo. I rappresentanti dell’ordine costituito sono dipinti esattamente come i criminali a cui fanno la guardia. La maggior parte dei poliziotti sono corrotti e violenti, tollerano lo spaccio e sovente proteggono una fazione a discapito di un’altra in cambio di favori, soldi, sesso o droga. Il sistema parla e capisce lo stesso linguaggio del male a cui si oppone. Da qualunque parte si decida di stare, si finirà per nuocere al prossimo o per soccombervi.


Il livello di violenza, crudezza ed efferatezza di “Oz” rimane tutt’oggi insuperato: per una delle primissime volte, nelle televisioni americane vennero mostrati, senza filtri, crimini atroci, nudità frontali maschili e femminili, sesso omosessuale, stupri e sintomi delle peggio fattanze di questo mondo. Per una delle primissime volte, nella storia della televisione mondiale, a questo livello di linguaggio e di immagini si accompagnava un messaggio durissimo ed implacabile: l’America, cari amici spettatori, è una terra selvaggia, divisa in fazioni e separata da odi atavici, che si nutre di violenza, soprusi e sopraffazioni; in cui il debole cede al forte e in cui il forte detta le regole con feroce spietatezza. “OZ”, come già ebbi a scrivere in merito all'ultimo film di Tarantino, ci dice a chiare lettere che non esiste un popolo americano; non ancora, almeno. Esistono decine di razze, colori e religioni che convivono, molto poco pacificamente, sotto lo stesso tetto, sempre in attesa di prevalere le une sulle altre e tenute faticosamente assieme solo da un insieme di regole applicate con la stessa violenza di cui vorrebbero essere la cura (pensate alla segregazione razziale, al recente odio per i mussulmani, agli estremismi del KKK, a Rodney King). La Terra delle opportunità e delle Libertà ha sempre nasconsto sotto il tappeto dei propri nobili slogan, caterbe di caduti in nome dell’odio e della mancanza di rispetto per l’altro da sé.

"OZ" è uno show si abbacinante bellezza e di sconvolgente violenza, duro come solo la verità sa esserlo e feroce come la legge della natura. La drammatica verità che emerge da "OZ" è che non sembra esserci speranza di redenzione, né di salvezza. E non tanto per i carcerati, ma per il genere umano tout court.


I personaggi di "OZ", sia che durino una puntata, sia che sopravvivano per tutte le sei stagioni, sono descritti e raccontati con una profondità e una lucidità che raramente è stata raggiunta anche dalle migliori produzioni degli anni successivi, e stiamo parlando di una serie del 1997.

Ogni episodio si apre con un personaggio, interpretato da Harold Perrineau – il Michael Dawson di “Lost” – che presenta, come il coro in una tragedia greca, il proprio punto di vista su personaggi, sulla vita e sul sistema carcerario di Oz.

Impossibile citare le decine di personaggi che compaiono nel corso della serie: su tutti, Tobias Beecher, che rappresenta l’emblema di quello in cui il sistema carcerario – teoricamente volto alla riabilitazione, oltre che alla punizione dell’essere umano – può ridurre un povero cristo. Non vi dico nulla, ma la sua sarà una vera e propria via crucis…

E poi, come non menzionare Adebisi, Ryan O’Riley, Vernon Schillinger (J.K. Simmons al suo meglio, recente premio Oscar per "Whiplash") e Chris Keller (interpretato da un Christopher Meloni in stato di grazia)? Bravissima anche Eddie Falco (già moglie del boss ne “I Soprano”) e tutti coraggiosi attori che hanno preso parte allo show.

Qualcosa di anche solamente simile, deve ancora essere inventato. E, forse, non ci sarà mai più.




GIUDIZIO SINTETICO: Una delle serie che hanno cambiato il modo di concepire l'intrattenimento televisivo e una delle pietre miliari della cultura popolare contemporanea. Agghiacciante, inquietante, disperata. Occhio a guardare in faccia la Verità, perché Oz non solo ve la rivelerà tutta, ma ve la tatuerà sul grugno, a martellate!

VOTO: 10




P.S. 

Questa recensione ha costituito la base per la puntata "Serie e Mi-serie" di "Serial K: Le serie tv in radio", una trasmissione radiofonica che tratta di serie televisive e che scrivo e conduco assieme a quattro carissimi amici: Tommy, Giulio, Dodi e Eugenia. Tutti i podcast li potete trovare su Mixcloud; le puntate le potete sentire in diretta ogni lunedì, dalle 20:30 alle 21:30 su Radio Città del Capo (FM 94.700 96.250); tutte le info, le comunicazioni, i commenti e le foto le trovate su FB. Vi aspettiamo.






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