04/05/15

JUSTIFIED (di G. Yost e E. Leonard)




Si è appena conclusa l'ultima puntata dell'ultima stagione di "Justified",  una serie che avrà pure tutti i suoi innegabili limiti, ma che ho profondamente amato e che mi ha fatto divertire ed appassionare come poche altre.

Per chi non sapesse di che si tratta, l'unica cosa che posso dire è che guardare "Justified" è un po' come passare una serata in compagnia dei tuoi migliori amici... e non sto parlando di una di quelle notti magiche, uniche ed indimenticabili... quelle dove rimorchi la tipa dei sogni e dove tutto gira da dio e tu riesci pure a limonarla in riva al mare, sotto la luna e un cielo di stelle, per poi passare i successivi dieci anni a fantasticarci sopra e a fare due palle così a tutti raccondandogli di quella volta che... no, "Justified" assomiglia, piuttosto, ad una delle tue solite serate; quelle che passi nel solito locale, a bere le solite birrette sgasate, parlando delle solite cose, con i soliti amici. Ma in quelle sere, lo sai, c'è sempre quel qualcosa nell'aria che fa si che tu non vorresti essere da nessun altra parte e in compagnia di nessun altro.

Non si vive di soli momenti di gloria. Si vive nel quotidiano, tirando la carretta e portando a casa la giornata, nonostante tutti gli spaccamaroni, le beghe in ufficio, le scartoffie da sistemare, il traffico e il governo ladro... e, alla fine della solita giornata, una birretta e quattro chiacchiere con i tuoi migliori amici sono spesso più appaganti ed emozionanti di qualunque avventura estiva.

Perchè in quelle serate costruisci un legame, impari qualcosa su di te e su di loro. In quelle serate non devi indossare maschere, non hai bisogno di tirarti a lucido e sfoderare il tuo miglior sorriso e la tua cartola da quattro soldi, ma puoi limitarti ad essere te stesso, chiunque tu sia, perchè non devi impressionare nessuno... perchè tra amici ci si vuole bene così, senza troppi fronzoli... basta veramente poco, purchè sia vero.

Ecco, semplicemente, cos'è "Justified".

Per la cronaca, sappiate che la serie è stata creata da Graham Yost e basata sul personaggio immaginario di Raylan Givens, a sua volta inventato dalla meravigliosa ed inconfondibile penna di Elmore Leonard (che, al personaggio, ha dedicato tre interi romanzi “Pronto”, “A caro prezzo” e “Raylan”, oltre ad un racconto breve intitolato “Fire in the hole”).


"Justified" non cerca mai di strafare. Come un buon amico, non dà mai l'impressione di volerti incantare o piacere per forza. Se la prende comoda. Certo, l'azione non manca, ma non la chiamerei adrenalina... Ci si spara, e pure tanto, ma sempre con calma e senza troppi rancori. Qualche guasconata qua e là, ma poche sbruffonaggini gratuite. Scordatevi la fotta di "24" o il crudo realismo di "The Shield". "Justified" appoggia il gomito al bancone, ti offre un buon bourbon bruciabudella, una paglia arrotolata e, con lo Stetson calato sugli occhi, ti racconta con la sua voce roca e pastosa qualche vecchia storia...

La serie ruota tutta intorno al suo protagonista, interpretato da un Timothy Olyphant in grandissima forma e nel suo ruolo-carriera. Timothy Olyphant, ammettiamolo, non nè certamente un genio della recitazione. Vanta un repertorio di massimo due-tre espressioni in croce (delle quali, una con il cappello e due senza). Ma ha il fisico giusto, la faccia giusta e la voce giusta per impersonificare Raylan Givens: l'ultimo dei cow-boy, l'ultimo boy-scout, l'ultimo dei duri dal cuore d'oro.

Raylan Givens è un uomo di legge del Sud degli Stati Uniti; è un Marshall, ossia uno sceriffo federale tutto d'un pezzo che non va tanto per il sottile se c’è da sparare a qualcuno; Raylan è onesto, scrupoloso e assai brillante, ma non è esattamente il prototipo dello sbirro ligio ai regolamenti... anzi, è piuttosto allergico alle maglie della legge e ai doveri della divisa, soprattutto quando gli impediscono di farla pagare a chi se lo meriterebbe, nel modo in cui se lo meriterebbe. In poche parole, Raylan ha un proprio personalissimo modo di far rispettare l'ordine costituito,  di tutelare ciò che è giusto e di perseguire ciò che è sbagliato, gestisce le indagini un po' come cazzo gli pare e, all'occorrenza, non ha nessuno scrupolo a forzare le regole, se serve a punire chi se lo merita.


Lo show è caratterizzato da una serie di dialoghi a dir poco spettacolari, con personaggi dalla lingua tagliente e biforcuta che non accettano mai di non avere l’ultima parola: Elmore Leonard, non a caso, è considerato il miglior dialoghista americano di tutti i tempi, al punto che lo stesso Tarantino ha più volte dichiarato di essersi ispirato ai suoi scritti per comporre e ideare le proprie brillanti sceneggiature.

"Justified" è ambientata nella contea mineraria di Harlan, uno dei tanti buchi del culo d’America, uguali e mefitici come mille altri, ma, in questo caso, geograficamente collocata del bel mezzo del Kentucky, ossia uno dei posti più dimenticati da dio del continente, infestata da luridi bifolchi, pazzi delinquenti, sadici redneck, pazzi invasati religiosi, faccendieri di ogni risma, politicanti corrotti, tatuatissimi razzisti del klan, distillatori clandestini, hillybillies incestuosi e fuorilegge per tradizione e per vocazione.

Insomma, un gran bel posto per sistemarsi e metter su famiglia!




La serie, pur essendo ambientata nei giorni nostri, sembra uscita di pacca da un film di John Ford e le posture, i gesti, i modi e le espressioni del marshall Raylan Givens sono quelli tipici dello sceriffo del XIX secolo.

Raylan è affascinante, piace alle donne, ha un forte senso della morale e della giustizia, ma solo quelle che LUI reputa tali. Ha conosciuto i confort della Città, il tiepido e benefico calore della Florida, ma i suoi stivali, come il suo cuore, sono ancora pieni della polvere del Passato, con il quale ha ancora tanti conti in sospeso e di cui non riesce, suo malgrado, ad affrancarsi.

Per Raylan, i cavilli della legge, i libri di diritto e le regole della procedura civile sono certamente valori da difendere, ma anche, e forse troppo spesso, degli ostacoli da superare piuttosto che degli strumenti da utilizzare. Raylan è la perfetta sintesi dell'America moderna e di quella delle origini; quell'America che è tanto democratica da sentirsi in obbligo di imporre la propria democrazia al resto del mondo con la forza, senza nemmeno rendersi conto dell'ossimoro. Quell'America che guida oggi il mondo occidentale, che indossa una bella giacca e una bella cravatta, ma che ha ancora iscritto nei propri geni la violenza, la durezza e la miseria del proprio passato.

Raylan rappresenta l'alfiere e la cattiva coscienza di quell'America che non ha paura di menare le mani, nè di sporcarsele, se occorre; l'America che guarda al futuro, ma che non ha affatto dimenticato un passato fatto di lavori nei campi, di schiene spaccate in miniera, di distillerie di moonshine e di assalti alla diligenza. L'America non è solo uno skyline di grattacieli di vetro o le spiagge assolate della California; l'America è anche un parcheggio di baracche di lamiera, con prostitute bambine che si offrono a cerebrolesi bifolchi con catene di denti di alligatore al collo, tatuaggi in faccia e prese di tabacco anche su per il culo.

E "Justified" serve a ricordarci che questa quest'altra America, questa sterminata landa di disperati abbandonati da dio e dagli uomini, che non viene mai mostrata nelle patinate pellicole di Hollywood e che non bazzica i lounge bar di L.A. o i salotti radical-chic della Grande Mela, non solo esiste, ma, indiscutibilmente, costituisce l'ossatura e la colonna portante della Nazione. Una nazione moderna e potente, ma anche rustica e selvaggia, che, proprio grazie a questo suo mai sopito spirito indomito e brutale, ha saputo conquistare, prima nella Storia, la propria libertà, prendendo i propri oppressori a cannonate nei denti e pallettoni nel sedere.

Da allora, l'America ne ha fatta di strada... ha saputo ripulirsi e reinventarsi; si è scrollata di dosso la polvere e il fango e si è messa in ghingheri; da povera schiava è riuscita ad elevarsi a padrona del mondo. Quest'America, pragmatica e cinica, non ha rinnegato del tutto il proprio passato polveroso e selvaggio, ma ha saputo trasformarlo in leggenda, addomesticando il mito della frontiera e riducendolo alla dimensione di un pacchetto regalo da rivendere ai turisti e agli appassionati di vecchi film di cow-boy. Ma esiste anche un'altra America, sconosciuta ai tour operator e al turismo di massa, che sa perfettamente che quella frontiera, invece, esiste ancora, e che, più ci si avvicina ai suoi confini, più le maglie del diritto e della civiltà si fanno larghe, fino a sparire del tutto, smarrite tra le colline del Kentuchy, tra le paludi della Louisiana, tra i deserti e le foreste del Texas e tra i silenzi sconfinati delle Montagne rocciose.

Raylan Givens è l'emblema di un'America che, pur con mille sforzi ed impegni, non è ancora riuscita a tirarsi via dagli abiti tutta la polvere e il fango del proprio Passato.



Il passato di Raylan è, appunto, la contea di Harlan, dove è costretto a tornare per fare i conti con sè stesso e con tuta la sua vita. A casa, c'è ancora il vecchio padre, un famoso criminale che frequenta abitualmente i peggiori faccendieri della regione. Ci sono vecchie fiamme, qualche amico e, soprattutto, l’immenso Boyd Crowder, interpretato dal fantastico ed irraggiungibile Walton Goggins, che è il vero mattatore della serie ed il personaggio forse meglio riuscito e delineato dello show.
Walton Goggins (l’indimenticabile Shane Vendrell di “The Shield”) è forse il miglior comprimario del mondo ed bravissimo a rendere le mille sfumature del proprio personaggio: ora infervorato predicatore, ora spietato rapinatore, passando via via per il ruolo di invasato razzista, di romantico amante, di killer spietato e di compagno altruista. Un genio totale!!!!
Quello di Raylan e Boyd è uno dei più classici e meglio riusciti esempi di bromance della televisione moderna. Sul loro rapporto e sui loro scambi di battute si fonda praticamente metà della serie e si può ben dire, senza tema di smentite, che un personaggio sarebbe ben poca cosa senza l’altro.


 
"Justified", a livello di trama, ha veramente poco da dire, ma lo dice benissimo: crime verticale con storie da risolvere in ogni episodio e una lunga linea orizzontale dedicata alla storia principale. Ossia, appunto, il rapporto ed il regolamento di conti tra Raylan e Boyd.

Non so quanto Elmore Leonard sia responsabile delle singole linee di dialogo e delle varie scelte di trama, ma la sua aurea si sente in tutte le puntate e tutta la serie sembra uno dei suoi meravigliosi romanzi.

Se non sapete chi è Leonard (chi era, in realtà, vista la sua recente scomparsa dell’anno scorso all’età di quasi 90 anni) non avete presente cosa sia la letteratura ed il cinema americano degli ultimi 60 anni.
Vi basti pensare che ha scritto una cinquantina di romanzi, prima western e poi crime, e altrettanti racconti; oltre innumerevoli altre pubblicazioni.
Ha vinto ogni premio letterario possibile.
Ha sceneggiato per Hollywood, a partire dalla seconda metà degli anni ’50, un botto di film, firmando capolavori come “Quel treno per Yuma” e “Jackie Brown”, e piccoli gioiellini come “52 gioca o muori”, “Get Shorty”, “Out of sight” e decine e decine di altri titoli che sicuramente avrete visto senza sapere che erano suoi e che vi invito a scoprire da soli, anche perché – se no – passiamo il resto della recensione a fare l’elenco dei film e dei libri di Elmore Leonard.

La sua caratteristica distintiva, tanto nei libri quanto nelle sceneggiature, era quella di riuscire a far sì che il racconto non procedesse in modo canonico, mediante semplici passaggi descrittivi, bensì attraverso i dialoghi e le conversazioni dei vari personaggi.
Per cui, mentre tu sei lì impalato che ascolti due tizi che parlano, bevendoti i loro scambi di battute come un infuocato match a Wimbledon tra Borg e McEnroe... all’improvviso scopri che la storia è mutata, che si sviluppata verso nuove direzioni, che è diventa altro… il tutto, mentre le immagini e le descrizioni degli eventi non ti stanno dicendo assolutamente un cazzo… pazzesco!



Leonard, prima di avviare la fase di scrittura di un proprio romanzo o di propria una sceneggatura,  era solito svolgere un lavoro di ricerca a dir poco maniacale (per il quale, per molti anni, si avvalse anche del lavoro del "researcher" Greg Sutter). Leonard, in particolare, era un "collezionista" di atmosfere e ambientazioni, divorava aneddoti, si incuriosiva per manie, storie, leggende e passioni popolari. 
Quando trovava qualcosa che suscitava il suo interesse (qualuncque cosa fosse), non si limitava a un'indagine superficiale, ma la esplorava nel profondo, finendo per farsi assorbire completamente da essa. Così, se durante le sue ricerche si imbatteva casualmene nel mondo dei tuffatori, Leonard era capace di frequentare l'ambiente delle piscine e delle gare di tuffi per mesi, assorbendone i rituali, adottandone lo slang e imparando gli stili, le regole, fino ai metodi di assegnazione dei punteggi ed ai nomi dei tuffi. Tutto questo gigantesco lavoro, poi, finiva dentro un libro, caratterizzando un personaggio, colorando un'atmosfera o arricchendo un'ambientazione.
Non c'era cosa o argomento che non potesse suscitare il suo interesse, dallo sport, alla cultura dei nativi americani, alle rievocazoni delle battaglie storiche della guerra di secessione...

Leonard, soprattutto, era capace di trasformare e adattare continuamente il suo linguaggio alle diverse ambientazioni dentro cui si muovevano i propri personaggi: questa dote, unita al suo personalissimo stile (assolutamente non lineare) e a un geniale impiego di diversi punti di vista (resi attraverso il dialogo) per racconatre un intreccio che, altrimenti, sarebbe risultato assai banale, lo ha reso uno degli autori più difficili da tradurre efficacemente in altre lingue.

In "Justified", sentire parlare i personaggi in lingua originale, con l’accento del profondo Kentucky, masticando parole come fossero prese di tabacco, è qualcosa di sublime.

Ed è anche per qusto motivo che "Justified" (così come tutte le serie, per la verità) va vista in lingua originale e non doppiata: quell'accento, quella cadenza, quel modo di mangiarsi aggettivi, inventarsi i sostantivi e incasinare i verbi è PURA LETTERATURA, non semplice periodare...

Justified”, dunque, è Leonard alla massima potenza, diluita lungo sei stagioni e 65 episodi. Ovviamente ci sono alti e bassi, picchi di lirismo assoluto e momenti di calo fisiologico. Ma la serie, nel complesso, è veramente una chicca e non mancherà di emozionarvi; l’affresco dell’America che ne esce, poi, è terribilmente inquietante. Pensare che quella che si definisce la più grande democrazia del mondo, oltre alla militarmente più potente e culturalmente più influente nazione del ventesimo secolo, sia popolata da abitanti come quelli che vivono nella contea di Harlan, mi fa dormire sonni ben poco tranquilli.

Consedetemi due considerazioni finali.

La prima, è per la musica. Bellissima e curatissima, a partire dalla splendida sigla, che già sintetizza e preannuncia il tono e lo spirito di tutta la serie: un misto di hip-hop e bluegrass con fraseggi rap tra i "pizzicati" del banjo. Una leccornia grezza per palati finissimi!

La seconda, è per il finale. OKKIO SPOILER!!!! "Justified" è una delle poche serie che, pur correndo costantemente in bilico sul sottilissimo filo che separa il capolavoro dallo sfacelo e viaggiando sempre a un passo dal mandare tutto in vacca, dimostra invece una consapevolezza ed una lucidità con pochi eguali nella storia della televisione. Non è per niente facile mantenere costantemente il controllo e sapere sempre dove sei e dove stai andando, quando l'impressione che susciti, in chi ti segue, è che tu stia invece guidando ubriaco e costantemente in derapata. Ma QUEL FINALE, come nelle migliori partite di poker, scopre le carte in tavola e assegna i punti. E chi pensava di aver già il piatto in tasca ed è venuto a vedere il bluff del pollo che per tutta la partita ha dato l'impressione di giocare a un gioco molto più grande di lui, si è invece ritrovato spennato, senza una lira e con tante ferite da leccarsi. QUEL FINALE, con Raylan e Boyd che sembrano Clint Eastwood e Lee Van Clift in un duello di Sergio Leone, che si fronteggiano un'ultima volta, seduti uno di fronte all'altro, ognuno da un lato diverso della legge, separati solo da un sottilissimo vetro che riflette il proprio volto più che mostrare la propria nemesi e armati solo della loro velenosa parlantina è uno dei più lucidi e struggenti esempi di televisione degli ultimi anni.

Ancora una volta: non succede nulla che non fosse già scritto, ma succede benissimo ed è scritto da dio!




GIUDIZIO SINTETICO: Il mito del vecchio West si è rintanato nella lercia contea di Harlan, dove le battute uccidono ancor più delle pallottole e dove la legge non è quella dei libri, ma quella degli uomini. Meraviglioso!!! Ciao Raylan, Ciao Boyd, Ciao Elmore... ci mancherete!

VOTO: 9



P.S.

Questa recensione ha costituito la base per la puntata "Datemi un Durango e vi solleverò il mondo" di "Serial K: Le serie tv in radio", una trasmissione webradio che tratta di serie televisive e che scrivo e conduco assieme a due carissimi amici: Tommy e Giulio. I podcast delle passate puntate li potete trovare tutti su Mixcloud; le puntate le potete sentire in diretta ogni 2 settimane, il giovedì, dalle 19:00 alle 21:00 su Radio Strike; tutte le info, le comunicazioni, i commenti e le foto le trovate su FB. Vi aspettiamo. 






2 commenti:

  1. Non leggo perchè ho finito da non molto la terza, ma Raylan è un personaggio tra i miei preferiti del piccolo schermo. Grande Justified!

    RispondiElimina
  2. @James
    Tranquillo, gli unici spoiler sono ben segnalati e solo nelle ultime righe... per il resto, se vuoi, leggi pure tranquillo.

    RispondiElimina